Ci sono vacanze che sono speciali. Sono quelle che parti in viaggio con gli amici, quando si forma quell'atmosfera di complicità, intimità e allegria. La gioia di stare insieme si afferra, si mangia, si beve, si fuma.
Quando le vacanze sono speciali si è in uno stato permanente di ebrezza, che non è dovuto solo alla rakja seccata a forza di brindisi. Sono anche una seduta semi-permanente di autocoscienza. Si svuota tutto. Si fanno le ore piccolissime a raccontarsi, a discutersi, a consigliarsi, a prendersi per il culo. Si cambia idea, si impara l'uno dall'altro, si spezzetta la propria identità e la propria storia in percentuali. Si fanno anche cose stupide o che non avremmo mai fatto in altri luoghi e contesti. Si ammirano le bellezze locali, per strada o dall'alto di un minareto.
Le brass band, il canto del muezzin e il silenzio nello scheletro della biblioteca bruciato dalle cupe vampe fanno da contorno, sono solo la colonna sonora, perchè quello che conta è che, per qualche giorno, si vive al quadrato. E quando si torna a casa, guardando la pista di un aeroporto o il mondo dal finestrino di un treno, si sente un bel buco nello stomaco. Come se ci avessero strappato via un pezzo di noi. Come se non avessimo davvero vissuto se non in quella settimana.
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