domenica 22 marzo 2009

Sogni di vita eterna

Ieri sono andato a vedere la mostra "Mummie. Sogno di vita eterna", organizzata dal museo archeologico della mia città. Una sessantina di mummie, naturali e artificiali, umane e animali, sono state portate a far compagnia al buon vecchio Oetzi.

Di questo convegno di mummie c'è una cosa che mi è rimasta impressa. Dalla Cina al Perù, passando per l'Egitto, erano tutti convinti di rimanere in vita preservando la propria fisicità. Degli organi interni si poteva anche fare a meno, ma di pelle e ossa proprio no: era quelle il mattone fondamentale su cui si sarebbe costruita la vita dell'aldilà. In un certo senso, ragione, sensazione e piacere non contavano, perchè l'importante era "esserci". Fissando un teschio nelle orbite, mi chiedevo cosa avrebbe fatto un faraone se avesse avuto a disposizione le tecnologie di oggi. E già me lo immaginavo ricoverato nel cuore di una piramide, con il sondino nello stomaco e il respirato in bocca, tenuto in stato vegetativo permanente, per l'eternità.

[Ai giorni nostri, invece, è tutto il contrario. Il corpo è una mera precondizione alla "vita vera", che è fatta di esperienze. Quello che conta, a me pare, non è esserci ma fare. D'altronde come potrebbe essere altrimenti in un sistema economico dove il valore di una vita dipende dalla sua produttività?]

Pure il vangelo di oggi parla di vita eterna (chi crede ha la vita eterna), ma qui non si tratta tanto di una vita tanto lunga da non aver fine, quanto di una vita vissuta in assoluta pienezza. La durata è un elemento quasi secondario. In fin dei conti, l'eternità potrebbe diventare una brutta condanna se uno vive una vita pallosissima. Quello che conta è la comunione con Dio (che comunque non può finire).

Ciò nonostante, sono uscito dal museo con la convizione di avere almeno due cose in comune con lo "spirito delle mummie". La speranza che la morte non sia la fine del gioco. O il fatto che il corpo è una parte imprescindibile e non puramente strumentale della persona (al punto che risusciterà... opportunamente "trattato" con sale di sodio e spirito santo).

sabato 21 marzo 2009

L'ira di Clint

Sono tantissimi i film imbevuti di riferimenti alla Bibbia, espliciti e impliciti. Tra questi il più intrigante è, forse, Matrix. Ma potremmo citare anche Harry Potter o il Signore degli Anelli. E anche l'ultimo film di Clint Eastwood rientra a pieno titolo in questa categoria.

Anzi, Gran Torino è una metafora della storia della salvezza quasi spudorata (con Clint nel ruolo di Dio, ovviamente). Potrei giocare a dire chi nel film rappresenta chi nella Bibbia, ma resisto alla tentazione, perchè Gran Torino è molto più di questo. E' il più bel commento a questo passo dell'Apocalisse:
12 Quando l`Agnello aprì il sesto sigillo, vidi che vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come sacco di crine, la luna diventò tutta simile al sangue,le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come quando un fico, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi immaturi. Il cielo si ritirò come un volume che si arrotola e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto.Allora i re della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti e alle rupi: Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall`ira dell`Agnello,perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi vi può resistere?
Dio è un vecchio brontolone, incarognito dalle delusioni e rinchiuso in se stesso. Sembra aver dimenticato la sua creazione e il suo popolo. E' l'ira scatenata dal grido dell'innocente al cielo, che muove Dio/Clint a ritornare protagonista della Storia. E' la violenza gratuita verso una ragazza hmong. I potenti, gli oppressori, le gang è barrichino pure a casa loro. Cercheranno di trincerarsi dietro un muro di pallottole, ma contro il Buono, ce lo garantisce San Giovanni, non possono resistere.

Il finale, di Gran Torino come della Bibbia, è, naturalmente, a sorpresa.

giovedì 19 marzo 2009

Il Papa ha un demonio

Non ha fatto nemmeno in tempo ad atterrare in Camerun, che Benedetto ha già scatenato un putiferio di proporzioni mondiali. Ben gli sta! Come si può pretendere di dare lezioni di morale in una intervista lampo su un aereoplano? D'altro canto, fatico a comprendere tutto questo stupore globale. In fin dei conti, Benedetto non ha fatto altro che ribadire la dottrina cattolica sul tema, che è la stessa da almeno 5 pontificati.

Premesso questo, vorrei fare due commenti.
1) Le critiche al Papa sono buon senso allo stato puro. Ragionevolezza al cubo. Chi, però, si sia preso la briga di sfogliare il vangelo, di buon senso ne avrà trovato molto poco, anche in campo morale. Gesù è uno che invita a voler bene a chi ti bastona, a dare anche le mutande a chi ti ha rubato i vestiti, a perdonare sempre e comunque a prescindere, fino all'ordine reiterato di comportarsi come si comporta Dio. Beh, l'asticella è davvero posta troppo in alto. Dio chi crede che siamo? Gli ebrei dell'epoca, che erano gente molto ragionevole, infatti, a Gesù dicono papale papale: "Tu hai un demonio!".

Benedetto cerca di non essere da meno di cotanto predecessore. E fa bene. Fa bene a ricordare che l'uomo è fatto per qualche cosa di più di una sessualità pret-a-porter, in cui il preservativo funge da passepartout. Quello che Bendetto crede è che l'uomo sia fatto per qualcosa di molto più grande della semplice soddisfazione del proprio piacere. Il Papa, e con lui tutta la Chiesa, crede che il sesso sia il sacramento di un amore ostinato e fedele, in cui l'intimità fisica sia la celebrazione di un'intimità di vita e di spirito.

Decisamente troppo. Infatti pure io me ne sto bene alla larga da un amore così.

2) Nonostante l'evidente follia della proposta di vita cristiana, è possibile che le parole del Papa siano più realistiche e fedeli alla realtà dell'uomo, anche in relazione alla lotta all'aids, di quanto i commenti degli opinionisti di mezzo mondo lascino pensare.

E' un fatto che tutte le "politiche del preservativo" in Africa siano fallite. Spedire vagonate di condom, come pare abbia fatto Zapatero, non è che una buffonata umilante per spagnoli e africani. E' anche un fatto che il contagio di HIV sia stato contenuto tra quelle popolazioni in cui la sessualità è rimasta regolata dalle tradizioni tribali e non è stata inghiottita dal disfacimento che la società africana ha subito dai tempi della tratta coloniale in poi. Vuoi, quindi, che alla fine dei conti, non abbia ragione lo sragionato Benedetto, che la soluzione stia nella ricostruzione di un tessuto sociale ordinato, e che distribuire a pioggia profilattici non aiuti proprio?

3) E per non farci mancare nulla, ecco cosa ha detto Benedetto (via Luigi Accattoli):

Ecco le parole del papa in aereo in risposta alla domanda del collega Philippe Visseyrias di France 2 (”Santità, tra i molti mali che travagliano l’Africa, vi è anche e in particolare quello della diffusione dell’Aids. La posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro di esso viene spesso considerata non realistica e non efficace. Lei affronterà questo tema durante il viaggio?”):

“Io direi il contrario: penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l’Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla Comunità di Sant’Egidio che fa tanto, visibilmente e anche invisibilmente, per la lotta contro l’Aids, ai Camilliani, a tutte le Suore che sono a disposizione dei malati … Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con slogan pubblicitari. Se non c’è l’anima, se gli africani non si aiutano, non si può risolvere il flagello con la distribuzione di preservativi: al contrario, il rischio è di aumentare il problema. La soluzione può trovarsi solo in un duplice impegno: il primo, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro, e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano visibili progressi. Perciò, direi questa nostra duplice forza di rinnovare l’uomo interiormente, di dare forza spirituale e umana per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e di quello dell’altro, e questa capacità di soffrire con i sofferenti, di rimanere presente nelle situazioni di prova. Mi sembra che questa sia la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e così offre un contributo grandissimo ed importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno”.



martedì 17 marzo 2009

La verità vi farà liberi. Appunti.

E' ormai un anno che sono rimasto "incantato" sul vangelo di Giovanni e affascinato dalla sua "ossessione" cristocentrica. Penso, anzi, di essere stato contagiato da questa ossessione e, ormai, vedo gnostici e pelagiani a destra e a manca.

Comunque in questi ultimi giorni sono tornato su questi versetti del capitolo 8:

Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; 32 conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". 33 Gli risposero: "Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?". 34 Gesù rispose: "In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35 Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; 36 se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero.
E' un passo molto conosciuto, soprattutto quel "la verità vi farà liberi". Ma che significa?

Un primo, ovvio, significato è che sapere come stanno davvero le cose permette di agire liberamente. In una stanza buia sono costretto a muovermi a tentoni. In una stanza illuminata, invece, mi posso muovere liberamente, senza paura di sbattere contro un armadio.

Chi commette peccato, invece, non è libero, ma "schiavo del peccato". Se la verità aumenta la nostra libertà, il peccato la riduce. Peccare è come chiudersi in una stanza e buttare dalla finestra la chiave. Queste due azioni, pur scelte liberamente, riducono significativamente la libertà, anzi coincidono con una sorta di autocarcerazione.

Non posso non notare che l'antinomia verità-peccato è piuttosto singolare. Alla verità non viene contrapposta l'ignoranza, nè al peccato la santità. Questo non è un caso. Il primo significato del passo giovanneo, a cui ho accennato sopra, va necessariamente approfondito, proprio a partire da questa antinomia.

La verità a cui si riferisce il Cristo libera, innanzitutto, dal peccato. Nel Figlio di Dio e dell'uomo, il peccato non significa più una separazione definitiva da Dio. Il Padre, infatti, attraverso suo Figlio, non permette più che ci chiudiamo fuori casa (magari dopo una notte passata in discoteca). Anche noi, con e grazie a Cristo, nonostante tutte le nostre debolezze, abbiamo la possibilità di rimanere per sempre nella casa del Padre.

In altre parole, la conoscenza, ma prima ancora l'esperienza, di questa verità, che poi non è altro che Cristo stesso, libera la nostra vita dalla paura di sbagliare, dai sensi di colpa, dalla necessità di essere e apparire sempre perfetti, dalla legge levitica e dalla sua versione moderna, la casistica morale, da ogni nostra paturnia e dal giudizio degli altri. Sappiamo, infatti, che siamo giustificati addirittura prima di peccare. Cristo ci libera dalla paura di perdere le chiavi! Possiamo, così, uscire nel mondo e sporcarci le mani, rischiare, imparare sbagliando. Possiamo anche essere sfigati e inadeguati: Dio ci ama sempre e comunque, anzi, probabilmente ancor di più. E, all'alba, scenderà ad aprirci la porta.

Rimane una domanda: come fare a conoscere la verità? Qui non si tratta di nozioni, di una verità assimilabile esclusivamente razionalmente. Questa verità non ha nulla a che fare con prove razionali dell'esistenza di Dio, nè con prove storiche della sua resurrezione nè con conoscenze razionali, che l'uomo può raggiungere con le proprie forze.

Per conoscere la verità, dice Gesù, bisogna "rimanere fedeli alla mia parola". Bisogna perseverare nella sua parola. Bisogna metterla in pratica e farne esperienza, quotidianamente e praticamente. E' una verità che si scopre facendola. E' una verità, come Gesù spiega a Nicodemo, che "si fa". E' nella fede vissuta che la parola manifesta tutta la sua forza e verità. Così, se noi dimoriamo in Cristo, come ricorda in più passi lo stesso Giovanni, Cristo dimora in noi.

mercoledì 11 marzo 2009

Il ritorno della politica

Cosa hanno in comune il mandato di arresto emesso dalla corte penale internazionale contro il presidente del Sudan e la crisi economica mondiale?

Sono avvenimenti di natura e dimensione assolutamente diversi, eppure entrambi segnalano l'urgenza di un ritorno alla politica. Ci siamo illusi, per troppo tempo, di poter far a meno della politica. Che la politica fosse una cosa brutta, in mano a corrotti e incompetenti. Ci siamo illusi che si potesse delegare la gestione della cosa pubblica "agli esperti". Ci siamo illusi che affidare la politica economica agli economisti e la politica internazionale ai giuristi avrebbe portato ad un mondo migliore.

Ora, siamo costretti a tornare alla dura realtà. Abbiamo scoperto che dietro ogni legge economica si nascondono interessi particolari ed ideologici, e che non basta un procuratore per fare la pace.

Espellere lo stato dalla mondo dell'economia è stata follia. Altrettanto è stato permettere che la corte penale internazionale prendesse l'iniziativa in una crisi complessa come quella sudanese. Ora, rinsaviti, si spera, torniamo a fare politica.

ps. sulla crisi economica sanno ormai tutto tutti. Su quello che sta succendendo in Sudan, invece, questo è l'indirizzo giusto.

domenica 1 marzo 2009

Il buon samaritano '09

Tra due bidoni delle immondizie, in fondo ad una strada di una grande città, giaceva un uomo svenuto. Era sporco e sanguinante.

Passò un ronda di sicurezza e si fermò proprio davanti a lui. Gli omoni della ronda borbottarono tra di loro: "Lo hanno conciato proprio bene!" "Se lo sarà meritato di sicuro""E' un marocchino""Sicuramente un poco di buono""Che se ne tornino a casa loro...""...E lascino l'Europa a noi cristiani!""Altro che moschee e couscous". E proseguirono nel loro giro d'ispezione.

Passò poi il comitato di redazione di un diffuso quotidiano cattolico. Mentre camminavano discutevano animatamente della prossima enciclica papale sulla giustizia sociale, ma si fermarono comunque, sorpresi di veder quel corpo martoriato. Una giornalista suggerì al direttore di chiamare un'ambulanza. Il direttore ci riflettè un secondo, poi disse che era meglio di no: "Non vedi che è straniero? Non possiamo proprio intervenire. Cosa penserebbe il governo? Magari se la prendono. Magari poi un ministro arriva a denunciarci. Dobbiamo essere prudenti e pensare ai finanziamenti alle nostre scuole. Ci penserà qualcun altro." E proseguirono verso la sede del giornale.

Passò poco dopo un gruppo di militanti del partito democratico. Erano stati comunisti tutti d'un pezzo nei tempi d'oro di Berlinguer. Ora era rimasta tanta amarezza. Erano della corrente più vicina ai radicali. Dell'ideologia di un tempo non erano rimasti che relativismo, laicismo e anticlericalismo. Una vecchia compagna femminista si accorse dell'uomo tra i bidoni. Un veloce sguardo d'intesa e lo caricarono sul furgoncino, tra i manifesti della campagna elettorale e lo portarono in ospedale. In ospedale lo affidarono agli infermieri, poi ripartirono, diretti a tutto gas all'assemblea nazionale.

Il dottore era stanco morto. Aveva passato la giornata ad una manifestazione per la difesa di Eluana e ora gli toccava pure il turno domenicale al pronto soccorso. Si avvicinò al lettino dell'uomo svenuto. "E' straniero" notò "Ha anche un grave trauma cranico e ha perso molto sangue. Avrebbe bisogno di un intervento urgente". Ci pensò sù un secondo, poi si chiese "Magari è un clandestino.... Vediamo se ha dei documenti". Documenti non ce n'erano. Solo un portafoglio vuoto. "Meglio chiamare la polizia" si decise il dottore. Uscì dalla stanza e andò ad avvertire le forze dell'ordine.

Quando la polizia arrivò, trovò l'uomo già morto. "Dottò" fece il capitano "Con tutti i crimini che succedono in città, le pare il caso di disturbarci per un cadavere?". Il medico nicchiò e constatò l'ora del decesso: "Sono giusto le tre" E scrisse sul referto "deceduto alle ore 15.05".