sabato 29 settembre 2007

I Kilonpuffi

Kilombo più che il metablog delle sinistre assomiglia alla versione internettiana del villaggio dei puffi, che, manco a farlo apposta, è notoriamente una allegoria di una comune comunista. I puffi, gli esperti del settore lo sanno, sono circa un centinaio (più o meno come i kilombisti elettoralmente attivi), però quel che ci interessa sapere di più è chi è chi. Alcuni kilonpuffi sono facili facili da riconoscere.

Di
Puffetta, ad esempio, c'è n'è una sola, come, del resto, nella redazione kilonpuffesca. Puffo brontolone, quello che non è mai d'accordo su nulla e che deve per forza fare il bastian contrario, chi sarà mai? Esatto, proprio lui, anche se forse qualcuno lo vedrebbe forse meglio come Gargamella. Di burloni in Kilombo ce ne sono tanti, ma il Kilonpuffo burlone è, per antonomasia, rosso, mentre i kilonpuffi non si possono accontentare di un solo cuoco: per le esigenze gastronomiche (e per le feste della puffosità) abbiamo bisogno di un vero e proprio team. I puffi hanno un solo architetto che costruisca loro le fungo-capanne. Noi abbiamo un solo, unico, grande webmaster.

Finiti quelli facili, incominciano quelli difficili. Ad esempio, il Kilonpuffo vanitoso chi sarà? Ora che si avvicina l'autunno ed è tempo di sciarpine, io ho il sospetto che il nostro abbia
i baffini. E Grande Puffo? mumble mumble: questi gli indizi: è il più vecchio di tutti, forse il primo kilonpuffo. Ha la barba di Socrate, ma è comunista. Veste di rosso (o che sia saffron?). E' una sorta di maestro per i puffi, anzi, diciamo pure di professore. E' saggio, magari pure pugliese.

Ma Quattrocchi? Chi sarà mai Quattrocchi? Quello con l'aria del professorino lombardo, che magari rovina pure gli scherzi dei kilonpuffi cialtroni, che ha scambiato quel che dice Grande Puffo per la Bibbia... Se Grande Puffo fosse Giavazzi
non avrei dubbi... ma Quattrocchi chi è?

giovedì 27 settembre 2007

Viva i Birmani!

Soprattutto perchè hanno il buon gusto di non venire a fare i rifugiati a spese nostre.

martedì 25 settembre 2007

Ripensare Alexander Langer

Proprio mentre si costruisce il pd altoatesino, cercando prospettive politiche nuove per l'autonomia sudtirolese e forme nuove di convivenza tra gruppi etnici e risposte nuove alla domanda di rappresentanza che viene da larghi settori dell'elettorato, è indispensabile ripensare Alexander Langer. Io provo a farlo partendo da una raccolta di articoli, pubblicata nel 2003, proprio sulla provincia autonoma.

1. Mitizzazione e demonizzazione. Gli scritti sul Sudtirolo sono, almeno per me, una lettura lacerante. Langer sparge il sale su ferite ancora aperte e lo fa con implacabile capacità analitica e introspettiva. E' come guardarsi allo specchio e vedere qualcosa che non ci piace, ci mette angoscia e ci fa provare vergogna. D'altronde è lo stesso Langer una persona che tutt'ora divide, raccoglie adoratori e mobilita nemici acerrimi. A 12 anni dalla sua morte, i suoi avversari politici non sono ancora disposti a concedergli l'onore e lasciare che anche Bolzano dedichi una strada al più controverso dei suoi cittadini.

Eppure, dalle sue parole scritte emerge un intellettuale delicato, premuroso verso le sensibilità più diverse e verso ogni sfumatura della realtà politica e sociale, radicalmente e cautamente realista, orgoglioso coltivatore della propria cultura e fedele amante della cultura dell'altro. Un quadro totalmente diverso dall'utopista, implacabile distruttore della tradizione e della diversità linguistica e culturale, fautore dell'uomo nuovo sudtirolese. Langer va ripensato, ma prima di tutto riletto e capito, lasciandoci alle spalle le caricature della propaganda e della lotta politica.

2. Lo sguardo profetico. Sicuramente Langer è stato capace di leggere la sua terra, tanto che quello che ha scritto dieci o vent'anni fa è ancora tremendamente attuale. Tre spunti mi hanno colpito:

a) Il disagio degli italiani: se ne discute ancora, ma pochi sembrano sapere bene cosa sia e soprattutto come porvi rimedio. Langer lo ha individuato e descritto con la precisione del naturalista durante tutti gli anni ottanta. E' un disagio che ha motivazioni profonde, come il sentirsi ospiti in quella che dovrebbe essere anche la propria casa e l'essersi identificati e sentiti rappresentati da uno stato che poi li ha abbandonati una volta chiuso il "pacchetto", ma anche cause più triviali, come la scarsa conoscenza dell'altra lingua, l'essere sempre il vice di qualcun altro in virtù della proporzionale etnica, il restringersi degli spazi di successo personale e lavorativo dovuto al ritrarsi dell'industria e alla spartizione dei posti pubblici prima tutti occupati da italiani.

Da questa prospettiva è importante imparare a dare una risposta ai temi che ancora dominano la stampa locale. Oggi, ad esempio, si discute sulla toponomastica: sono simboli, è vero, ma anche i simboli sono importanti. Una legge condivisa sui nomi dei luoghi sancirebbe il reciproco riconoscimento della legittimità di entrambi i gruppi linguistici ad abitare questa terra (e questo obiettivo ben varrebbe il sacrificio dell'italianità del nome di qualche prato o maso!). E si capisce anche come gli italiani abbiano bisogno di una rappresentanza politica che sia capace di ricontrattare i termini dell'autonomia, per creare un insieme di regole che non sia il compromesso tra partito unico della minoranza e stato centrale, ma il modo in cui gruppi linguistici diversi hanno voluto vivere insieme (lezione che i nuovi quadri del pd dovrebbe mandare a memoria!).

b) il conservatorismo verde: Langer era un verde, ed era perfettamente cosciente (ed orgoglioso) degli elementi conservatori del proprio movimento politico, tanto che ci organizzò perfino un convegno. Sapeva bene che la battaglia contro "l'autostrada" (o la tav?) è una battaglia conservatrice. E lo rivendicava (forse con un certo gusto per la provocazione). E i verdi di Pecoraro se ne rendono conto? O liquidano tutto come facile ironia dei riformisti? E forse la sua lezione sarebbe utile anche a David Cameron, per dare un po' di credibilità alle tinte di verde che cerca di dare al suo grigio partito...

c) l'aborto e il nucleare: in una presa di posizione che generò un mare di polemiche tentò di mostrare come il tema della "vita" non potesse non legare la lotta all'aborto con quella al nucleare. Lo fece con la solita grande sensibilità e apertura al dialogo, nel nome di una battaglia "per la riduzione complessiva della violenza". Chissà se non vedrebbe ora un legame tra ogm e manipolazioni embrionali: forme entrambe di violazione di ciò che c'è di più vicino al principio della vita, umana e non.

3. L'eredità. Langer non ha certo vinto. L'Altoadige, oggi più che mai, è un sistema di conflitto più o meno ben temperato, in cui alle sparate scioviniste di un gruppo segue sempre una risposta ancora peggiore dell'altro, in cui si ha paura di vivere insieme, la regola aurea è ancora "il più ci si divide, meglio ci si capisce" e censimenti etnici si succedono regolari con scadenza decennale. Però, come un fiume carsico, i fermenti più genuinamente langeriani, riemergono quasi inaspettati e diventano indispensabili anticorpi allo scontro etnico. Ecco che le Caritas tedesca e italiana si fondono, nasce l'Università di Bolzano (unico luogo di cultura e formazione genuinamente bilingue - anzi trilingue, visto che si insegna anche in inglese), il prossimo censimento si annuncia anonimo e la dichiarazione di appartenenza linguistica molto più flessibile.

La sua battaglia più discussa e vissuta è stata proprio quella sul primo censimento etnico non anonimo, quello del 1981. La preoccupazione di Langer ben si comprenderà dieci anni dopo, quando, in Jugoslavia, scoppierà una sanguinosa guerra civile tra etnie. E, seppure la situazione era molto diversa da quella altoatesina, non si può guardare con un certo sgomento a come durante il titoismo le differenze linguistiche e culturali siano state incentivate, glorificate e fissate attraverso ripetuti censimenti etnici. Eppure proprio l'esperienza Jugoslava, e di tutti gli scontri etnici, insegna anche come un sistema di regole trasparente per la divisione delle risorse sia fondamentale a prevenire la degenerazione del conflitto. Per quanto in modo imperfetto, la proporzionale altoatesina è servita proprio a questo.

Langer muore suicida a Firenze nel 1995. Io ero un ragazzino in colonia estiva. Lessi la notizia sul giornale, in fretta, senza capire molto. Solo colto di sorpresa. E solo ora comincio a comprendere quello che abbiamo perso.

lunedì 24 settembre 2007

Quality Time

E voi come risolvereste questo problema di politica sociale?

Problema:
Siete l'assessore alle politiche sociali di un qualsiasi comune inglese. Il vostro bilancio per l'assistenza socio-sanitaria è in profondo rosso con tendenza a peggiorare. Infatti, tra invecchiamento della popolazione, crescente attenzione alle persone disabiliti, caro casa, etc etc, le vostre uscite sembrano proprio voler toccare il cielo. Sul lato delle entrate avete, invece, un governo centrale che decurta, implacabile, i trasferimenti. Così non si va avanti. Bisogna trovare una soluzione per evitare a) la rivolta del vostro elettorato (perchè tutti, ma proprio tutti, hanno un parente disabile o in ospizio); b) il commissariamento del vostro comune per bancarotta.

Procedimento (partecipato):
Gli amministratori inglesi hanno lavorato al problema per un decennio. Hanno parlato con tutti: esperti, autistici, lavoratori, autisti, parenti. Hanno organizzato riunioni, assemblee e consultazioni; hanno distribuito volantini, questionari e lettere con carta intestata; e, infine, hanno trovato la quadratura del problema.

Soluzione:
a) Calcolate la quantità di ore-lavoro x utente che state attualmente fornendo e dividetela a metà. Il risultato è il tetto del servizio che fornirete ai vostri utenti da domani in poi.
b) Chiudete tre-quarti dei centri diurni presenti sul territorio.
c) Chiudete il servizio navetta che portava i vostri clienti al loro centro diurno. Date un abbonamento dell'autobus gratuito a quelli che camminano. A tutti gli altri regalate uno sconto per prendere il taxi.
d) Raggruppate tutti i vostri clienti (più o meno disabili, più o meno anziani) nei centri superstiti, ma consigliate loro di non venire proprio.
e) Offrite a tutti i vostri clienti un supporto/accompagnamento (minore o uguale al tetto che avete stabilito al punto a) per attività diurne e notturne di loro scelta (esempio: piscina, cavallo, discoteca, bricolage, pittura, giardinaggio, cucina).
f) Spiegate che, finalmente, i vostri clienti non saranno più parcheggiati in una sorta di oscura istituzione totale, ma avranno un bellissimo, divertentissimo, agognatissimo, strabiliantissimo, fantasmagorissimo quality time.

sabato 22 settembre 2007

Il politico tra Grillo e Foucault

Ho incominciato a leggere, quasi per caso, le lezioni di Foucault sugli "anormali". Ed è proprio alla prima lezione che Foucault nota una cosa interessante: è per lo meno dai tempi di Nerone che il potere è in mano a personaggi grotteschi, ridicoli, buffoni.

Basta leggere un giornale italiano a caso per rendersi conto che il professore francese non aveva forse tutti i torti: tra i nostri legislatori possiamo contare pornostar, corruttori di giudici con la faccia da sgherri, parlamentari che prendono l'autostrada contromano* e senza patente, ministri che vanno al gran premio in aereo, presidenti in bandana e la lista è ancora lunga.

E se il potente è, quasi per sua natura, un buffone, non mi pare strano che sia proprio un comico di professione a sembrarmi il più credibile e serio e meno ridicolo di tutti.

*e qui c'è pure una barzelletta: il ministro va in autostrada contromano, ascoltando l'autoradio. Un notiziario speciale dell'infostrada annuncia allarmato che un pazzo sta andando in austrada contromano. Il ministro esclama meravigliato: "Uno??!!! Ma qui sono tantissimi che mi stanno venendo contromano!"

mercoledì 19 settembre 2007

Scuola e assimilazione: qualcuno mi spieghi il Sudtirolo

Io è da un po' che sono in giro per l'Europa. Vivo ormai da due anni a Londra, parlo l'inglese, guardo la televisione inglese, bevo il thè a getto continuo e sto persino imparando ad apprezzare la cucina locale. Quando vado al lavoro passo anche davanti ad una scuola e devo districarmi tra sciami di bambini di tutte le razze, etnie, lingue e culture del pianeta. Alcune bambine hanno il velo, altre i rasta. Alcuni a casa parlano polacco, altri somalo. In classe parlano tutti inglese. E pure nascendo e crescendo in Inghilterra, tutta questa gente si rifiuta ostinatamente di diventare "british", anzi è tutta una gara ad esaltare le proprie origini etnico culturali. Al punto che, siccome lavoro con una ragazza autistica sì, ma tamil, ho dovuto imparare a cucinare anche chapati e curry. A Bolzano il tema scuola è sempre stato un tema bollente (non come a Trento dove si discute di quisquilie laiciste). No a Bolzano sulla scuola si fa sul serio. La giunta provinciale altoatesina ha recentemente approvato un disegno di legge sulla scuola elementare, che ha fatto scoppiare un casino. Non tanto perchè la scuola altoatesina dovrà promuovere
una cultura della cittadinanza europea fondata radici cristiane,
ma perchè non fa esplicita menzione della possibilità di insegnare una materia qualsiasi (tipo la matematica) nella seconda lingua (tipo il tedesco per gli italiani). Ora, questa possibilità è vista come fumo negli occhi dalla svp (il gruppo di raccolta tedesco), mentre gli italiani stanno facendo carte false per averla. Il problema per la svp è che una scuola dove si insegna metà in italiano e metà in tedesco non è una scuola etnicamente divisa e in una scuola non etnica ci vanno bambini di entrambi i gruppi linguistici.

Non sia mai! Perchè sarebbe la fine della separazione etnica altoatesina, e, quel che è peggio, l'inizio dell'assimilazione dei tedeschi all'Italia. Infatti, la lingua veicolare sarebbe sicuramente l'italiano (sia per gli italiani che per i tedeschi, che, si sussurra, se non possono parlare dialetto preferiscono la lingua di Boccelli a quella di Rammstein) e se uno parla sempre in italiano alla fine, così si ragiona in casa svp, diventa per forza italiano.


Se è così, i sudtirolesi di madre lingua tedesca sono un caso unico al mondo! Quello che succede nel mondo vero (cioè sopra il Brennero e sotto Salorno) è che le diversità si esaltano nello stare vicine. Se uno sta a stretto contatto con uno di un'altra lingua e cultura, non sente forse due volte forte la propria identità? Perchè da noi dovrebbe essere diverso?
Forse la verità è che la nostra giunta queste cose le sa benissimo. Ed è proprio questo che vogliono evitare! tedeschi sì, ma non troppo.

domenica 16 settembre 2007

Darfur: soluzione in 4 mosse

Oggi è la giornata mondiale per il Darfur. Naturalmente non c'è nulla da festeggiare, ma qualcosina da leggere.

Su questo tema ho probabilmente scritto il mio post migliore: era il 6 maggio 2006 e descrivevo con un certa precisione la situazione e spiegavo perchè difficilmente la pace avrebbe retto. Sono stato, purtroppo, facile profeta. All'epoca c'era un conflitto a tre livelli:
1. la competizione internazionale per il petrolio del Chad tra Cina e USA;
2. la politica di arabizzazione perseguita da Karthoum in Darfur;
3. una guerra civile tra le tribù Zaghawa.

Rispetto ad allora le cose sono cambiate in modo inatteso, tra le quali non figurano i più che prevedibili fallimenti dell'ONU. La prima, sul livello internazionale, la riporta Gerard Prunier: il Chad sta cercando di liberarsi dallo scomodo alleato occidentale, che ha cercato di impedire che i proventi del petrolio finissero in armi e corruzione, per affidarsi alla meno schizzinosa Cina. Questo aspetto del conflitto verrebbe così risolto, e Pechino si ritroverebbe in mano le chiavi per dare un reale contributo alla pacificazione del Darfur.

La seconda la riporta Alex De Waal, che ha aperto un blog proprio sul Darfur, ricchissimo di informazioni e analisi preziose: un must, anche perchè De Waal è uno dei massimi esperti di Darfur. Insomma, il succo è che la polarizzazione del conflitto tra "arabi" e "africani" è venuta meno, gruppi combattenti arabi si alleano con i ribelli, ed ex ribelli si alleano con Karthoum, indipendentemente dall'appartenenza etnica. Non basta: il governo sudanese non ha più le capacità militari per intervenire efficacemente o controllare la situazione (e De Waal annuncia che si sta scaldando un ennesimo focolaio, in Kordofan). Anche il secondo livello del conflitto ha, quindi, perso di rilevanza.

Il Darfur (ma in proiezione anche il resto del Sudan, Chad e CAR) rischiano di diventare zone di completa anarchia, paragonabili alla Somalia (e le implicazioni per la "guerra globale al terrorismo" sono naturalmente notevoli). A questo punto, però, qualcuno mi deve spiegare perchè in Darfur si combatte ancora. Come per la Somalia e il Congo, è verosimile che ci siano delle economie di guerra che spingono bande armate a competere per delle risorse. Ma quali? Di risorse in Darfur ce n'è una: gli aiuti umanitari.

Se fossi un politico o un diplomatico interessato alla soluzione del Darfur dovrei, quindi, fare le seguenti cose:
1. andare a Pechino a fare pressioni;
2. fermare immediatamente la missione umanitaria;
3. mandare un piccola missione ONU di peacekeeping disarmata;
4. ...

ps. sul blog di De Wall c'è anche una dibattito con Homer Dixon sulle cause naturali (cioè la siccità) del conflitto.


venerdì 14 settembre 2007

Cartografi democratici: il Loop da Cockfoster a Cingford

Dopo il mio personale Vietnam mi sono ritrovato senza fotoreporters. Ad essere precisi mi si è rotto il caricabatterie del cellulare e sono troppo pigro per procurarmene uno nuovo. La tappa che va da Cockfoster a Chingford è pure abbastanza noiosetta e rilassata (e dopo lo schioppettio di quella precedente forse ci voleva proprio), così me la sono pure un po' dimenticata.

A fagiolo viene così lo spettacolare google maps. La funzione my maps, in particolare, mi manda in brodo di giuggiole. Mi posso studiare il percorso guardandolo dall'alto, mi posso disegnare il tracciato e calcolare le distanze, me lo posso stampare e portare con me (in questo caso ricordarsi sempre di infilare il foglio in un trasparente di plastica, chè se piove la mappa autarchica diventa rapidamente inservibile). La rete si appresta a mandare in soffitta le costosissime mappe della ordinance survey: è la democratizzazione della cartografia: quando si dice progresso.

Ma tutto questo non può bastare, google fa filotto e si prepara a pre-pensionare pure le guide (che pure sono abbordabili): su my maps trovi le foto sparse per la rete, le informazioni storiche e di colore disperse per wikipedia e puoi ripercorrere la tua camminata con altri occhi.

Quindi si parte da Trent Park. Ora, Trent non dev'essere un nome a caso (ma questo non lo trovate ancora sulla wiki, vi dovete leggere la guida o la lavagna informativa alle porte del parco). Molto probabilmente è il nome inglese (oltre che essere sicuramente il nome trentino - in questo caso con e aperta "è") della città di Trento, che come la mia guida correttamente riporta sta(va) in Tirolo, o per essere certosini nel Tirolo italiano o Walsch Tirol (dove Walsch sta per terrone). A Trento, nel 1777, il dottor Jebb salvò la vita al duca di Gloucester, fratello del re Giorgio III, il quale in segno di gratitudine gli regalò gli 81 ettari del parco. Quando ci sono andato io il parco era verde. In questa foto diventa però magicamente rosa. Comunque tutto bello, con un sapore di selvaggio addomesticato, come i secchioni che vanno in giro vestiti da punk.

Si procede per campi lungo il rio Salmon e di cui purtroppo non ci sono ancora foto (forse è una congiura internazionale). Verso la fine del torrente si arriva ad Enfield, nei pressi di Forty Hall, che di notte dovrebbe apparire così. Dopo un aver superato case e strade, chè a Londra non si è mai lontani dalla civiltà, si attraversa il fiume Lea o Lee, la cui valle pare sia stata colonizzata da calabresi che la utilizzano per farci passare le loro processioni con santo in testa. Le Sewardstone Marshes sono belle e selvagge, poi si passa per Gilwell Park, il campo base degli scout inglesi e si scende rigorosamente fischiettando questa canzone di Baccini, per altro l'unica sua a non essere su youtube (a dimostrazione dell'influenza della lobby scoutistica nel mondo - roba che altro che l'opus dei) fino alla stazione di Chingford.

mercoledì 12 settembre 2007

Vite parallele: Brown e Veltroni

Le avventure politiche di Gordon Brown e Walter Veltroni hanno significativi paralleli. Entrambi hanno ricoperto il ruolo di “vice”, successori predestinati, di due leader che hanno profondamente innovato il panorama politico dei rispettivi paesi. I progetti politici, New Labour e L'Ulivo, si proponevano di riportare la sinistra al governo, percorrendo la “terza via”, che conciliava idee di giustizia sociale e principi economici liberali. Dieci anni dopo, è arrivato per entrambi, Brown e Veltroni, il momento di assumersi la responsabilità del comando.

Nel frattempo il mondo è cambiato. Il fascino delle terza vie si è notevolmente affievolito. Prodi è stato esiliato in Europa e Berlusconi ha governato per cinque lunghi anni. Blair si è lanciato nella folle avventura irachena e, pur vincendo tre elezioni di fila, ha visto la graduale disaffezione degli elettori e l'abbandono di importanti esponenti di partito.

Ora, Brown si è insediato alla guida del governo britannico con una sola parola d'ordine, ripetuta ossessivamente: “cambiamento, cambiamento, cambiamento”. Veltroni si è candidato alla guida di un partito nuovo, nuova veste del progetto ulivista. A Brown è stata riconosciuta la leadership del Labour con un consenso quasi unanime e senza nessuno che osasse sfidarlo al congresso. Veltroni si presenta alle primarie sicuro del proprio successo, e con avversari che ambiscono, più che a sconfiggerlo, a prevenire un unanimismo bulgaro.

Le analogie devono, al momento, finiscono qui. Nonostante i proclami, i primi atti di Brown da premier sembrano dimostrano la sua volontà di perseverare con alcune priorità e strategie blairiane. Brown ha deciso di scommettere, come il suo predecessore, sull'ossessione securitaria, proponendo di allungare i termini per la detenzione preventiva senza esplicitare accuse o il permesso di magistrato, studiando progetti di leggere per parificare la marijuana alle droghe pesanti, incoraggiando la polizia ad usare la legislazione sul terrorismo per sopprimere le proteste ambientaliste all'aeroporto di Heathrow. Il secondo punte debole è la rappresentanza femminile. Le donne rimangono una presenza marginale nella compagine governative, con la sola Smith a capo di un ministero importante, gli interni. L'unica vera novità è il graduale riposizionamento britannico nello scacchiere internazionale, lontano dalla docile fedeltà al presidente americano e riconoscendo il fallimento iracheno.

Il passaggio al governo per Veltroni sarà, verosimilmente, più arduo (anche se, come Brown, non necessariamente dovrà passare per le urne). Se avrà successo, Veltroni dovrà guidare non un monocolore, ma una coalizione variegata e vittima di dinamiche centrifughe; dovrà sfidare l'equilibrio negativo degli interessi corporativi, che nel Regno Unito vennero spazzati via dalla Tatcher, mentre in Italia trovano il proprio campione in Berlusconi; dovrà imporre un vero cambio di marcia nel processo di liberalizzazione e rinnovamento del capitalismo italiano, senza poter contare della grande risorsa finanziaria che la City ha rappresentato. E queste sono solo alcune delle sfide che Veltroni dovrà affrontare.

Con Brown, Veltroni ha in comune la grave responsabilità di rinnovare la proposta politica progressista, salvando le importanti lezioni della “terza via” e recuperando, al tempo stesso, la tradizione socialdemocratica.

Questo post è stato scritto per e pubblicato da La Quercia, periodico della federazione ds di Forlì (e ci sono un paio di articoli che vale davvero la pena leggere)

martedì 11 settembre 2007

Sostiene Tommasini/2

Sono tornato ieri da Bolzano. Anche lì è più che viva la campagna per le primarie. Io sostengo apertamente (e ho fatto pure un po' di propaganda famiglia) la candidatura del segretario dei ds Christian Tommasini. Ho spiegato le mie motivazioni sul blog a sostegno della sua candidatura con il post che segue:

Alle primarie voterò (si fa per dire) Tommasini come segretario del partito democratico altoatesino. Il mio è un sostegno convinto, e i motivi sono presto elencati:
1) Tommasini ha dimostrato di saper vincere le elezioni, e questo è il minimo che si deve chiedere al segretario di un partito politico. Tre, in particolare, le scelte, faticosamente accettate dagli alleati, che ne hanno dimostrato la lungimiranza e l'acume strategico: la candidatura della Gruber, di Spagnolli e di Peterlini.
Viene eletto a guida dei ds nel 2001. La prima sfida elettorale sono le provinciali del 2003. In quell'occasione viene tentato l'esperimento "Pace e Diritti", una lista che unisce ds e rifondazione e che manca il secondo consigliere provinciale per una manciata di voti. Gli amici della Margherita passano da due a un consigliere, che poi verrà espulso dal loro partito. Nel 2004 ci sono le europee. Tommasini tira fuori dal cappello la candidatura di Lilli Gruber. La lista dell'Ulivo praticamente raddoppia i propri voti e diventa la seconda forza politica dell'Alto Adige dopo la SVP. Alle successive comunali, la Margherita impone la ricandidatura di uno svogliato Salghetti e i DS rinunciano a candidare un proprio esponente. Sappiamo tutti come è andata. Il secondo giro, vede Tommasini sposare convinto la candidatura di Gigi Spagnolli, e la Margherita accetta obtorto collo, nonostante Spagnolli sia un "suo uomo" (oltre che essere uno che ha dimostrato di saper vincere e governare una città). Le elezioni politiche sono le ultime. La ricandidatura di Bressa è data per scontata, molto meno quella di Peterlini "il tedesco" al senato. Si pensa ad un italiano per venire incontro a supposti istinti nazionalistici dell'elettorato di Bolzano e della Bassa. Tommasini tiene duro su Peterlini, che stravince le elezioni, persino nel quartiere Don Bosco, aumenta del 3% i propri consensi e diviene indispensabile alla maggioranza di governo.
2) Tommasini ha dimostrato di saper gestire un partito.
Quando ne divenne segretario, i DS erano un partito lacerato da correnti e divisioni interne. Nemmeno Guido Margheri, che era stato inviato da Roma come commissario per pacificare il partito, era riuscito a pacificare il rissoso partito. Sei anni dopo, il partito è coeso e unito. Sarebbe bello poter dire lo stesso della Margherita.
3) Tommasini ha una visione politica e programmatica di ampio respiro, che trova le sue radici in giganti del pensiero progressista moderno come Sen, Rawls e Nussbaum, am che viene coniugata con la realtà altoatesina.
Sarò orgoglioso di poter militare in un partito che lotta per l'uguaglianza delle opportunità, oltre ogni steccato di classe, genere ed etnia. Una società giusta è, infatti, una società dove tutti abbiano gli strumenti per realizzare se stessi, per poter diventare quello a cui aspirano. E la buona politica è quella che si adopera per renderlo possibile.Nelle parole di Tommasini: "E’ giunto finalmente il momento di dare a noi e ai nostri figli le stesse opportunità di partenza, al figlio di un dottore come al figlio di un operaio, ad una donna come a un uomo, a un’impresa “italiana” come a una “tedesca”. Il partito democratico dell’Ulivo avrà questo compito, costruire un’autonomia che dia a tutti i cittadini, di tutti i gruppi linguistici, gli stessi vantaggi e le stesse opportunità."
Tommasini sa vincere le elezioni, sa gestire un partito e propone un pd come partito delle pari opportunità. Ed è per queste tre ragioni che lo voterò.

lunedì 10 settembre 2007

Il gay, il rosario e il partito

1. Ad un compleanno in un pub londinese, un giovane di Roma, laureato alla London School, vide il mio anello-rosario che porto sempre all'indice e urlò, scandalizzato: "Un Papista! un papista!". Si radunò subito un capannello di persone intorno a me a tempestarmi di domande su quello che penso dell'omosessualità e accuse di omofobia. Rimasi molto scosso dall'aggressività dei miei interlocutori.

Successivamente l'episodio mi diede modo di riflettere su come ci si senta quando si viene additati come diversi, discriminati o, comunque, accolti con ostilità in virtù della propria identità. E su come sia importante sforzarsi sempre di immedesimarsi nel proprio interlocutore, soprattutto quando si dialoga con "l'altro".

2. Una delle pietre dello scandalo nei miei confronti era il fatto che fossi imperturbabile nel definire la pratica omosessuale come peccato. E non riuscivo proprio a capire perchè questa mia opinione generasse tanto fastidio.

In fin dei conti siamo tutti peccatori (omosessuali e non), il peccato è un fatto privato e, in definitiva, non tange chi non crede. Se è comprensibile il disagio che un atto tanto legato alla propria identità venga stigmatizzato come peccato, è impossibile per un cattolico rinunciare al proprio patrimonio teologico per non urtare sensibilità altrui.

Nel dialogo con "l'altro", è necessario impegnarsi nella comprensione del lessico reciproco, senza dare per scontato nulla. Spesso, infatti, ci si scontra per futili incomprensioni, per significati diversi attribuiti allo stesso significante.

3. Nel dibattito sui diritti (e non solo quelli degli omosessuali), è un'altra la parola che mi lascia interdetto: non peccato, ma "natura". Il concetto di natura applicato alla morale e alla politica ha una storia lunga e gloriosa, è stato uno strumento potente per la conquista di molti diritti e non è stato usato esclusivamente dai cattolici. E' però un concetto infido e ingannatore. Rimanda ad una realtà biologica e incorrotta, pervertita dal progresso e a cui bisogna tornare per risolvere ogni problema sociale. Ovviamente quale sia questa realtà ante-storica nessuno lo sa, e viene definita a seconda degli interessi del caso o per contrabbandare nei codici legislativi paragrafi del catechismo.

Quello di natura è', infatti, un concetto irrilevante sia per la morale che per la politica. E' irrilevante per la morale (almeno quella cattolica), dove basta e avanza quello di peccato. E non necessariamente un atto innaturale è peccato e uno naturale non lo è. Anzi, la mia umanità è proprio definita dalla capacità di controllare la mia natura.

E' irrilevante anche per la politica, dove il principio liberale di limitazione della libertà è molto più efficacie nel regolare i rapporti interpersonali. Nello stabilire cos'è lecito e cos'è reato, il politico (cattolico o no) farebbe a non richiamarsi al concetto scivoloso di natura, ma chiedersi se un diritto o una libertà particolare nuocciono ad altri, al nostro prossimo, vicino e lontano.

4. Sgombrato il campo da intralci concettuali e adottato un'attitudine aperta al dialogo, si può anche cominciare a discutere tra laici e cattolici, andando oltre una contrapposizione infruttuosa e frustrante e cercando soluzioni pragmatiche, magari parziali, magari anche solo dei compromessi temporanei.

Il Partito Democratico è, politicamente, l'unico strumento che abbiamo per portare a buon fine il dibattito sui diritti civili e superare la "questione cattolica" (il centrosinistra non avrebbe più un partito nato da una frattura religiosa). Sarà forse per questo che è osteggiato dagli integralisti di ciascuna parte, lacisti e cattolici.

giovedì 6 settembre 2007

Cos'è la politica?

Non depone certo a favore dell'università italiana il fatto che dopo 5 anni di scienze politiche non sapessi ancor definire "la politica". A chi me ne chiedeva il significato, abbozzavo risposte del tipo: "la gestione della cosa pubblica". Gestione, management, rimandavo ad un universo lessicale che era quello dell'azienda, della scienza, della tecnica, dell'esperto. Il sottotesto era l'idea che ad ogni problema della comunità politica ci fosse sempre una soluzione giusta, assolutamente vera, che solo un esperto, forte delle sue conoscenze tecniche, sarebbe stato in grado di individuare. La politica diveniva così non più il regno del politico, ma dell'economista, dello scienziato, del giurista, del sondaggista.

Mi è bastato un anno in un'università inglese a studiare altro per trovare una definizione che mi lasciasse, finalmente, soddisfatto: la politica come addomesticamento del conflitto. Il conflitto è un elemento ineluttabile di ogni comunità politica, perchè essa è caratterizzata dalla pluralità dei suoi membri e dei loro interessi (e mai mi rassegnerò veramente all'idea che l'etimologia di politica non abbia a che fare con il polis che significa molti come con quello che significa città). Anzi, un politilogo geniale come Carl Schmitt vedeva l'essenza del "politico" proprio nell'individuazione del nemico e con lo scontro, potenzialmente mortale, tra nemici. Compito della politica è proprio quello di prevenire che il "politico" prevalga in tutta la sua distruttiva potenza.

Il conflitto va addomesticato, non certo risolto, perchè risolverlo non è possibile se non attraverso il totalitarismo. Il totalitarismo non è tanto una dittatura molto cattiva, è, come diceva un mio vecchio professore, una centrifuga della società, distrugge ogni legame tra membri della comunità, crea una solitudine assoluta, e dove c'è una solitudine assoluta non può esserci conflitto, che invece si nutre di vicinanza, contatto, corpo a corpo.

Il conflitto non può essere nemmeno semplicemente gestito, perchè non esiste un manager che lo possa fare, non esiste un terzo sopra le parti che lo possa regolare così come si regola una partita di calcio. In un conflitto non esiste l'arbitro, e chi si prova a diventarlo diventa subito una parte in causa.

Il conflitto va addomesticato, ma è un'impresa dal risultato sempre incerto, poicheè l'istinto primordiale, il "politico", minaccia sempre di riemergere in tutta la sua brutalità e ferinità. E' un addomesticamento reciproco, tra i protagonisti, tra i rappresentanti degli interessi in gioco. Tutti sono allo stesso tempo addomesticatori e leoni, di se stessi (dei propri istinti, volontà e interessi) e degli altri (dei loro istinti, volontà e interessi).

Il contenuto della politica torna ad essere fatto di procedure, violenza, patti, prove di forza, concertazioni, tregue, cioè il regno del politico. Banalmente, se la politica non può essere la continuazione della guerra con altri mezzi (come piaceva a Foucault), perchè è nei mezzi la differenza, la discontinuità tra guerra e politica. E il contenuto della politica smette di essere soffocato dai contenuti delle politiche, dalla policy e dalla grande finzione che li vuole neutrali, giusti, super partes. La comunità politica non è, infatti, un'azienda con profitti da massimizzare e nemmeno un corpo da guarire, ma una grande arena di bestie selvatiche e gladiatori.

lunedì 3 settembre 2007

Nimetoka Mbali - Vengo da lontano

Io, in genere, nutro un odio profondo e virulento nei confronti di musica rap, rnb e similia. Faccio eccezione per la musica kenyota, che ho avuto il modo di ascoltare e apprezzare ormai qualche anno fa e che, a volte, mi riascolto su youtube.

sabato 1 settembre 2007

Sfruttamento No-Profit

Se il plusvalore è tutto ciò che dei ricavi non finisce in salari e ammortamenti, e se il plusvalore dà la misura dello sfruttamento dei lavoratori di un'impresa, allora, a rigore, i dipendenti di un ente no-profit dovrebbero essere meno sfruttati degli altri. Forse è questa impressione che rende il no-profit tanto popolare negli ambienti della sinistra post-industriale. Ma è un'impressione sbagliata.

Prendiamo un caso a caso, il mio. La mia ditta è rigorosamente no-profit e si (pre)occupa del benessere dei disabili fornendo una serie di servizi, come la gestione di strutture residenziali, attività ricreative, di consulenza, ricerca etc etc. La mia ditta, cioè, non offre cose, ma il lavoro di migliaia di persone. Il 75% del bilancio della mia ditta (che è molto ma molto grande) finisce in buste paga. Siccome essere no-profit, non significa affatto essere pro-debit, a tali uscite devono corrispondere tali entrate. E da dove vengono fuori queste entrate? Donazioni? Suvvia! Vengono da fondi pubblici: ogni comune appalta i servizi che decide di offrire ai propri cittadini. Lo fa con aste molto competitive: una marea di nobilissimi enti no-profit, housing associations e charities, prende parte a questa lotta all'ultimo sangue per vincere un appalto. Da che mercato è mercato, vince chi offre il prezzo migliore.

Con tre quarti di bilancio spesi in personale, naturalmente la voce su cui tagliare è una: lo stipendio, con annessi e connessi. Quest'anno, per esempio, lo scatto automatico di salario (stiamo parlando di una sciocchezza come il 2%, manco l'inflazione) è stato posticipato di sei mesi. Comunicazione via lettera, senza discussioni. Il "semaforo" è stato escogitato per ridurre i periodi di malattia: con due settimane a casa in un anno finisci rosso e sei a rischio licenziamento. E se mi rompo una gamba sono cavoli miei. Ovviamente le pause sigarette vengono recuperate a fine turno. A me, che non fumo più, casca la mascella sentendo dei miei amici, molto più pagati di me, tutti rigorosamente profit, che impiegano una parte consistente delle loro giornate lavorative con blogs e facebook.

Il mio datore di lavoro è, infatti, molto interessante a spremermi valore. Siccome è no-profit, però, questo valore non se lo incamera sotto forma di profitti o investimenti, ma lo trasferisce, bello impacchettato e infiocchettato, allo stato. In altre parole, il mio sfruttatore, il mio nemico di classe non è un avaro lardoso capitalista in sigaro e tuba, ma una sfilza di amministratori pubblici che hanno "altre priorità" (tipo catturare terroristi islamici).

E' proprio il caso di dirlo: governo ladro!