venerdì 30 novembre 2007

Libri e Blog, 30-11-07

Alcune novità su questo blog. Ho aperto un account aNobii, dove racconto i miei libri. Nella colonna a destra c'è pure un badge con gli ultimi che ho catalogato.

Mastro-Don Gesualdo: un eroe tragico della modernità. Incarna la mobilità sociale, l'ambizione, il capitalismo e la sua sconfitta è la sconfitta del progresso economico nel nostro paese, per mano di una nobiltà e di una massa parassitarie.

L'Europa cosmopolita (Beck e Grande):
la globalizzazione - ce lo hanno ripetuto in tutte le salse - pone delle sfide che gli stati nazione non sono in grado di risolvere. E' un problema di asimmetria tra il potere dei governi nazionali e la portata dei problemi globali (economici, di sicurezza, ambientali). Nessuno però è riuscito a dirci, però, come vincere queste sfide. Il merito di Beck e Grande è che con questo libro almeno ci provano.

Su aNobii c'è pure un gruppo di discussione Biblioteca Democratica. Al momento partecipiamo io e il Costa, ma la cosa potrebbe pure diventare interessante con qualche membro in più.

Ho aggiunto pure qualche link:

Chris Blattman, che ci tiene aggiornati su uno dei miei temi preferiti (conflitti e sviluppo, con un'attenzione particolare all'Africa), straconsigliato sia a Brigante che a Matteo per la miriade di post sull'Uganda.

Beffa Totale, che ne vale al pena.

giovedì 29 novembre 2007

Flessibili in uscita

Ci hanno sempre venduto la flessibilità in uscita come la grande opportunità per i lavoratori del nuovo millennio: mobili, ambiziosi, intraprendenti. Qualche dubbio su questa idea l'ho sempre avuto. Intanto, per lo meno nei paesi civili, i contratti di lavoro servono a garantirti dalla schiavitù e non viceversa.

Una ulteriore illuminazione l'ho avuta l'altra sera al lavoro: ho realizzato che i flessibili in uscita non sono i colleghi che si licenziano, ma quelli che rimangono al loro posto. Ecco quello che è successo.

La collega doveva tornare dalle vacanze la settimana scorsa, ma ha fatto ponte-malattia fino al week-end seguente. Ora, con la vicecapo che si è appena licenziata (e che ha anticipato la fine del suo rapporto di lavoro con una lunga malattia per alta pressione sanguigna), il capo in vacanza alle Mauritius ad assistere il suocere moribondo, l'altra collega in vacanza non so dove, questo ponte malattia mi causava qualche problema. Mi toccava chiamarla tutti i giorni per scoprire che diceva il termometro e trovare un sostituto all'ultimo momento per coprire il turno. Siccome non c'è esattamente la coda per venire a lavorare da me (eppure agli inglesi le code piacciono così tanto) a volte mi è toccato lavorare di più a me, nella speranza che qualcuno si ricordi di pagarmi.

Insomma, lunedì alle tre di pomeriggio chiamo: "Allora domani vieni o no?" "No, anzi, a dire il vero non vengo proprio più, Anwar (il capo, ndr) non vuole che stia e non vale la pena che venga più." "In che senso?" "E... non vengo più" "Ah." Metto giù la cornetta, realizzo le conseguenze pratiche della notizia, mando una imprecazione, prendo a calci la cassaforte in corridoio, mi faccio male.

Ci sono due mesi di turni da coprire. 75 ore lavoro da coprire. Possibilmente con qualcuno che abbia una minima idea di dovi si trovi, sappia mettere un pollo nel forno e non mi perda le chiavi. L'emergenza richiederebbe la mia più completa flessibilità. Telefono sempre accesso per ogni emergenza (tipo: come si contano i soldi in cassa?), disponibilità a lavorare un paio di ore in più ogni giorno, un' ispezione attesa lunedì prossimo, giorni di vacanza, visite al museo, cinema, champions league e serate al pub in fumo. Aaaarrrrggghhhh! La flessibilità in entrata è brutta, ma quella in uscita è un vero incubo.

E' finita che chiamo il capo del mio capo e gli spiego la situazione. Lui si fa dare il numero di telefono della collega in fuga e non so cosa le dice, ma funziona (non a caso è il capo del mio capo): pericolo scampato. Ieri abbiamo avuto la riunione del team e tutti che ridevano e scherzano come niente fosse successo.

Vedi moh quando me ne vado io come li fletto io!

sabato 24 novembre 2007

Sviluppo economico e violenza di genere

C'è un collegamento? Nei paesi in via di sviluppo c'è più o meno violenza contro le donne rispetto ai paesi sviluppati? Prima di rispondere a questa domanda qualche avvertimento è obbligatorio.

La violenza contro le donne è un concetto che andrebbe definito e operazionalizzato, reso, cioè, misurabile. Cos'è la violenza contro le donne? Ogni forma di violenza verso una donna? O forse la violenza contro le donne in quanto donne? Quali sono le forme di questa violenza? Stupri, pestaggi domestici, omicidi d'onore, ma anche forme più sottili come la discriminazione sociale? I dati sono pochi e non completamente affidabili. Vengono raccolte interviste e fatte statistiche, ma è difficile capire quanto le risposte siano influenzate da variabili culturali e le statistiche siano veramente rappresentative. Ciò nonostante qualcosa abbiamo.

Nel 2005 l'organizzazione mondiale della sanità ha condotto uno studio comparato sulla violenza di genere, attraverso interviste e focalizzando la propria attenzione su forme di violenza sessuale e domestica. Nello studio sono raccolti dati per nove paesi, qui in ordine crescente in termini di sviluppo umano: Etiopia, Tanzania, Bangladesh, Namibia, Perù, Samoa, Thailandia, Brasile, Giappone. L'indice di violenza di genere rispetta l'ordine di sviluppo umano (i paesi meno sviluppati sono i più violenti), con le significative eccezioni di Tanzania e Namibia (paese violento verso le donne solo più di Brasile e Giappone). Non si possono trarre chissà quali conclusioni da un campione così ristretto, se non che il i paesi più poveri non sono necessariamente più pericolosi per le donne. Politiche di promozione di genere sono state perseguite sia in Tanzania che in Namibia (paesi entrambi guidati da governi di ispirazione socialista), che si riflettono anche, per fare un esempio, nella rappresentanza politica femminile. Evidentemente hanno avuto successo, rivelandosi uno strumento prezioso. In Africa, che riserva molte sorprese positive se si guardano alle statistiche sulla parità di genere, non sono casi isolati.

La ricerca del WHO dà, però, un'immagine "statica" della relazione tra sviluppo e violenza di genere. Lo sviluppo economico è un processo e i suoi meccanismi possono avere ripercussioni differenti, positive e negative, sulle donne. In Asia, ad esempio diversi studi sociologici hanno mostrato come la crescita economica abbia messo in discussione posizioni di potere ed autorità tradizionali in mano maschile. E gli uomini reagiscono, spesso e volentieri, violentemente. In questi casi la violenza è un male necessario? O la violenza cambia semplicemente di forma, trasformandosi da strutturale a fisica?

Paradossalmente la violenza fisica potrebbe non essere altro che il colpo di coda di una battaglia già persa dai maschi. Sono state fatte, ad esempio, ricerche, sempre di natura antropologica, sull'impatto dei programmi di microcredito sulla violenza di genere. I risultati non sono univoci, ma sembrano mostrare una crescita della violenza fino al punto in cui la bilancia del potere all'interno dei rapporti familiari incomincia a pendere dalla parte delle donne, grazie al loro accesso a risorse economiche che gli uomini non hanno.

Un'ultima nota la faccio riguardo al tema della guerra. La guerra è divenuta, con la modernità, un problema femminile. Le donne ne sono diventate le vittime, simbolicamente e realmente. La guerra però ha avuto un portato di emancipazione su cui bisognerebbe riflettere. Le donne, partecipando allo sforzo bellico, si conquistano un posto nella società, nella politica e nell'economia, che le era prima negato. Le operaie americane, le guerrigliere della Namibia e dell'Uganda, le superstiti del Rwanda e, forse, pure le nostre partigiane hanno conquistato la loro dignità sociale proprio grazie alla guerra.

Conclusioni? Di ottimismo: non c'è nulla di inevitabile nella violenza contro le donne.

venerdì 23 novembre 2007

Cose che si perdono

Ieri sono tornato dal lavoro con un diavolo per capello, perchè una collega aveva perso il mazzo di chiavi della casa. Io ho dovuto perdere due ore di "vita" a cercare sto benedetto mazzo, mentre quell'altra faceva la gnorri al telefono. Nulla. Polverizzate. Vaporizzate. Verosimilmente finite nella spazzatura. Ma dico: come si fa?

Ti danno le chiavi in mano, hai la responsabilità di amministrare quelle chiavi, non devi andare in giro per il paese, ma te ne stai al chiuso dietro la porta, e le devi usare per aprire praticamente tutti gli armadietti della casa, eppure le perdi. Sono belle grandi e pesanti. E tu le perdi. E te ne vai senza dire nulla, chè fa brutto. Ma come si fa?
Comunque bazzecole rispetto a perdere 25 milioni di dati confidenziali, eh?

ps. gli armadietti sono stati tutti debitamente scassinati dal sottoscritto.


pps. a sentire gli ultimi aggiornamenti pare che i 25 milioni di dati confidenziali non siano stati persi per strada, ma inviati via mail per pigrizia a gente che non ci azzeccava. Un po' come quando scrivi dei fatti tuoi forwattando la mail ad un esercito di indirizzi di amici di amici di amici. E' poi scientifico che la mail arrivi proprio a chi non deve arrivare.

mercoledì 21 novembre 2007

L'ultima (rottami militari e industriali): il Loop da Harold Wood a Purfleet

E' l'ultima del Loop. La prima passeggiata la feci che c'era la neve, era febbraio 2007. Partivo dal profondo est di Londra, Erith, riva meridionale del Tamigi. A settembre sono in fondo, ancora nel profondo est londinese, ma dall'altra parte del fiume.

Si parte e sgamo subito una coppia che sta facendo il mio stesso giro con la mia stessa guida. Lo si capisce dal fatto che si girano e guardano indietro sempre dove lo consiglia la guida. Si fermano subito, però, ad Upminster Bridge. Io sono coraggioso, mi faccio le ultime miglia di suburbia e finisco nella valle dell'Ingrebourne, che diventa presto selvaggia e protetta dall'Hornchurch Country Park.

Tra pascoli, paludi, uccelli e mucche si nascondono le casematte della battaglia d'Inghilterra. Ora, in vece della contraerea nascondono immondizia, ma fanno sempre il loro bell'effetto. Lungo il Loop sono incappato nelle piste d'atterraggio, nel quartiere generale, nelle costruzioni difensive della seconda guerra mondiale. E il bello deve ancora arrivare.

Eh sì, perchè dopo il parco e dopo le praterie di Rainham e il suo fetore da distretto industriale (proprio lo specchio di Erith) si arriva al Tamigi. E lungo il fiume non mancano le sorprese. Prima però mi mangio il panino con la mostarda di Digione ammirando le fabbriche di Erith, con le ciminiere color ruggine, cattedrali dello sviluppo economico e culle del movimento operaio. Ora sembrano abbandonate e quasi spettrali, e questo magari spiega pure perchè le mitiche Trade Unions siano più che trasparenti. Colto da un momento di nostalgia per la malinconia che provai attraversando in treno le stazioni fantasma tra Lipsia e Berlino, con le industrie orfane degli uomini e i vetri rotti (lo diceva Marx che il capitale senza il lavoro non vale una cippa), oltrepasso i silos della Tilda Rice e scopro i barconi di cemento che usarono per il d-day. Nessuno mi chieda come abbiano fatto a farli galleggiare fino in Francia. Però sono là e sono bellissimi.

L'ultimo regalo è un palombaro che spunta dalle acque. Sarò che sono stanco per le 140 miglia di Loop che ho sotto le scarpe, ma è una grande opera d'arte moderna.

Si costeggia il fiume tra paludi e discariche fino a Purfleet, dove, a raffreddare tutto il mio entusiasmo ci pensa il radler sciacquoso e disgustoso che mi sono bevuto per celebrare la conclusione della circumcamminazione di Londra. Poi qualcuno si chiede perchè gli inglesi non bevono più birra.

sabato 17 novembre 2007

Trasformare la guerra? Cambiare il mondo?

Ogni società è attraversata da innumerevoli conflitti, che vengono risolti in modo pacifico. Solo in alcuni rari casi questi conflitti portano alla guerra. L'obiettivo di mediatori e operatori di pace non deve essere, pertanto, la risoluzione del conflitto, ma la sua trasformazione in senso nonviolento. Questo è il fulcro della critica di Galtung e Lederach alle teorie tradizionali di promozione della pace.

Se i teorici della risoluzione dei conflitti partono implicitamente dal presupposto che una guerra (o per lo meno le nuove guerre) sia sempre e comunque un gioco a somma negativa e, quindi, irrazionale: tutti perdono, quelli della trasformazione dei conflitti concedono che una guerra possa avere anche una somma zero: alcuni perdono, altri vincono. Ciò significa che alcuni attori della guerra hanno un interesse a perseguire i propri obiettivi con l'uso della violenza. La sfida degli operatori di pace non è, quindi, cercare di trasformare i leoni in agnelli, ma di cambiare i pay-off del gioco, in modo che l'uso della violenza sia meno remunerativo di strumenti non violenti. In altri termini, la trasformazione di un conflitto significa sostituire la politica alla guerra.

Più facile dirsi che a farsi. Ecco perchè.
1. Nella cartina politica del mondo, coperta interamente dai colori della sovranità statuale, si sono aperti dei buchi neri. Lo spazio politico non è più riempito completamente dagli stati. Negli interstizi dell'ordine dei monopoli della violenza, si è fatto largo il disordine della giungla, dell'anarchia, la guerra. Il disordine si trova geograficamente sia oltre i confini degli stati (negli stati falliti, dal Congo, alla Somalia, all'Afghanistan e all'Iraq), sia all'interno dei confini (nelle favela di Rio, nei vicoli di Napoli, etc.).

2. Alcuni di questi spazi di disordine hanno una acquisito una funzione economica. Essi servono all'economia globale. Servono per sfuggire ai costi imposti dallo stato (tasse, contratti di lavoro) e ai suoi divieti (al commercio di droghe ed altri merci illegali, al riciclaggio del denaro sporco). Si instaura così una relazione a doppio filo tra economica legale e illegale, ordine e disordine, benessere e miseria, che hanno la forma di catene internazionali di produzione: i paesi della coca esportano la pasta di coca in Brasile. Lì la pasta viene raffinata grazie ad agenti chimici prodotti in Brasile e Germania. La coca viene poi esportata nei mercati occidentali grazie alle armi prodotte negli Stati Uniti. Nella bilancia dei pagamenti di Gomorra, all'esportazione di droga fanno fronte le importazioni di armi e prodotti chimici.

In questo quadro la guerra non è il frutto di una umanità irrazionale o di un dilemma della sicurezza irrisolto, nè un metodo cruento per ottenere dei benefici economici o politici. La guerra è uno stato da mantenere e sfruttare: il passaggio dalla guerra alla politica significherebbe troncare queste catene internazionali di produzione, perdere delle rendite e delle fonti di profitto.

3. Altri spazi di disordine non hanno una utilità economica: in questi casi la guerra non è una condizione necessaria alla produzione, ma un costo. Ciò nonostante stati e imprese, grandi e piccole, si adattano al conflitto e finiscono per finanziarlo e perpetuarlo. Così è per i "blood diamonds". I diamanti vengono raccolti e venduti da bande armate a mediatori che li rivendono agli uffici delle imprese occidentali. De Beers non guadagna un penny dalla guerra in Congo, ciò nonostante compra i diamanti congolesi, e se non lo fa De Beers lo fa qualcun altro. Gli stati confinanti al Congo, Uganda e Zambia su tutti, si premurano di falsificare la provenienza delle pietre preziose, ottenendo pure loro una lucrosa fetta di profitti. Il mercato di diamanti c'è ed è competitivo e continua a pagare i costi della guerra per accaparrarsi posizioni di rendita sul territorio.

Se queste guerre non sono economicamente razionali, hanno pur sempre generato un insieme di interessi, rendite e relazioni che le perpetua e che bisogna sconfiggere per riportare alla politica queste zone di conflitto.

4. La guerra non sono un fenomeno locale, scollegato dal resto del mondo pacifico. La guerra ha radici profonde che arrivano fino al cuore del mondo ordinato e pacificato. La guerra è integrata in un sistema di relazioni transnazionali, che trascendono le capacità di controllo dei governi. I confini sono diventati porosi, incontrollabili. Li attraversano di contrabbando, uomini, merci e capitali. Non è possibile isolare le zone di conflitto da quelle di pace: le armi volano ovunque ci sia un acquirente. Stabilire un monopolio della violenza, riportare l'ordine e la politica è diventata un'impresa titanica.

In questo contesto le strategie di trasformazione di conflitto, che si limitano ad attori locali, programmi radio e workshops, sono velleitarie. Qui per trasformare una guerra è necessario trasformare il mondo.

martedì 13 novembre 2007

Il sesso non consentito

F. ha 32 anni, è alta 1m e 50 ed ha la sindrome di Down. Lo psicologo ha stabilito dopo un colloquio di qualche minuto che F. ha un'età mentale di 4 anni e ha anche deciso che non è in grado di consentire a rapporti di natura sessuale.

Il fatto che non sia in grado di consentire a rapporti sessuali, non significa affatto che F. non abbia pulsioni di natura sessuale. Anzi. F. ha un "boyfriend" che frequenta nel centro diurno e, sopratutto, una relazione affettiva molto intensa con la sua "Amica"e coinquilina T.

Il sospetto che F. possa avere una relazione di carattere omosessuale proprio in casa ha gettato nel panico i miei colleghi. E' stata avviata una procedura per verificare se ci fosse stato un abuso (anche se non si è ancora capito bene chi sia l'abusato e chi l'abusante), sono stati avvertiti con urgenza i servizi sociali e sono state adottate procedure per controlla la sessualità deviante di F.

Io sono state bonariamente rimproverato per non aver scritto un rapporto dopo aver scoperto che F. e T. avevano dormito (vestite e ben separate) sullo stesso letto (matrimoniale). A nulla è valso far notare che i bambini spesso desiderano dormire vicini (e, si badi bene, F. è un adulto di 4 anni mentali) e che pure nel mio letto hanno dormito uomini, donne e bestie senza che succedesse alcunchè di piccante. Trattamento simile è capitato ad una mia ingenua collega che non ha visto nulla di male nel fatto che F. lavasse la schiena a T. nella vasca da bagno.

Alla fine i servizi sociali si sono visti costretti a inviare in missione speciale una giovane e intrepida psicologa. Questa dopo alcuni colloqui di qualche minuto e lunghe consultazioni di natura legale e scientifica con il proprio capo è giunta alle seguenti conclusioni:

1. A F. piace frequentare T.
2. Non ci sono prove per pensare che F. vada oltre a qualche carezza con T., ma anche se fosse...
3. non esiste legge che regolamenti i rapporti di tipo lesbico concernenti adulti vulnerabili.

In conclusione, abbiamo una persona a cui è stata attribuita, una volta per sempre, l'età di 4 anni, ma che viene ipocritamente chiamata adulta; abbiamo un approccio interno alla sessualità di tipo proibizionistico privo di ogni aspirazione a promuovere una sessualità consapevole (nonostante "choice" sia una delle parole d'ordine "aziendali"); abbiamo una legislazione in materia che ignora le problematiche connesse al rispetto del corpo, ma ossessionata dalla penetrazione (omo ed etero).

Che dietro il libertinismo di facciata della società inglese, non si nascondano sostanziosi residui di moralismo vittoriano?

venerdì 9 novembre 2007

Scrivo con le mani legate

Franz Jaegerstaetter è stato beatificato il 26 ottobre 2007. Rifiutò di prestare servizio militare nell'esercito nazista. Venne processato e condannato a morte il 9 agosto 1943. E' il beato degli obiettori di coscienza. Ora sono state tradotte e pubblicate le sue lettere dal carcere. Ne parla padre Angelo Cavagna su Antenne di Pace.

E visto che si parla di obiezione di coscienza e di antenne di pace, ecco il ricordo di don Oreste Benzi scritto da Tiziana e da Matteo. Tiziana e Matteo sono stati come me "caschi bianchi" con la Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata proprio da don Oreste. E come me sono rimasti folgorati dall'amore gratuito di don Oreste.

Buona lettura.

domenica 4 novembre 2007

I malvagi

Non ho mai creduto all'esistenza dei malvagi. Del male sì, e pure del diavolo. Ciascuno di noi può commettere azioni orrende. Qualcuno di noi lo fa raramente, altri molto spesso. Dietro però ad ogni azione cattiva ci deve essere una ragione. Magari un dramma sepolto nella memoria, una passione travolgente, una situazione di disperato bisogno. Ma anche la voglia di vendetta per un'ingiustizia subita, l'inappagabile desiderio di denaro, potere o celebrità. Semplice egoismo o banali viziose abitudini. Ma l'esistenza di persone intrinsecamente malvagie mi è sempre sembrata una cosa impensabile. Chi puoi mai fare qualcosa di male solo per il gusto di farlo?

Il male non è (quasi) mai giustificabile, però nel momento in cui diventa comprensibile è anche possibile immaginare il suo superamento e aprire degli spiragli per una conversione. Il male fine a se stesso, invece, è assolutamente incomprensibile. Non ha spiegazioni e non comprende possibilità di conversione. Come può solo pensare di pentirsi una persona assolutamente malvagia? No, i malvagi non esistono.

Poi, giorno dopo giorno, un dubbio si è insinuato in quella che era una incrollabile certezza. Il dubbio ha la forma di una donna bella, sorridente, disponibile e molto professionale. Un giorno spariscono 20 sterline dalla cassa. Chi è stato? O io o lei. Lei impossibile, avrò sbagliato io a dare il resto della spesa. Eppure avevo controllato bene e il mio portafoglio alla fine della giornata era vuoto. Vabè, sarò stato io comunque. Due mesi dopo spariscono 60 sterline. Stavolta è chiaro: io non c'entro. C'è una inchiesta interna ed un mare di bugie: c'è chi si difende tentando di nascondere le piccole inadempienze commesse, c'è una che cerca di incolpare la collega. Non passa nemmeno una settimana e compare un messaggio sul libro delle comunicazioni: da oggi le chiavi della cassa e delle medicine devono essere portate dalla stessa persona che avrà piena responsabilità per ogni discrepanza. Lei scrive il messaggio, io il primo a prendere le chiavi e, guarda a caso, mancano già due medicine. L'obiettivo è chiaro: mettere nei casini i colleghi.

Poi uno ci pensa e mette insieme piccole cose a cui prima non aveva fatto caso: i soldi per pagare il taxi non restituiti; la promessa fatta al manager di scusarsi per una risposta maleducata verso di me mai mantenuta; i guanti di lattice di scorta nascosti; il parlare alle spalle; lo scaricare la colpa sempre verso i colleghi. Sono tutte piccole cose, banali, stupide, grette, non necessarie, ma tanto più superflue sono, tanto più incomprensibili e malvagie.

Perchè fare del male quando non se ne trae beneficio alcuno, se non la soddisfazione di avere fatto del male? Non hai dimostrato di essere più forte, nè più intelligente. Non ti sei arricchita e hai rubato a dei disabili. Nessuno ti stimerà di più. Tutte le tue azioni rimangono nascoste, oscure, non te ne puoi nemmeno vantare con le amiche.

No, i malvagi non esistono. Però qualcuno mi deve spiegare il perchè.

sabato 3 novembre 2007

Ciao don Oreste

Oggi è morta una persona speciale, un prete che tanta parte ha avuto nella mia maturazione spirituale. Era un prete sgualcito, che non amava compiacere, ma di una umiltà sconfinata e di una gioia contagiosa.

Di don Oreste ho qualche ricordo personale, di incontri che ritagliava da agende fittissime. Mi impressionava la passione di un uomo che dormiva pochissimo, a volte in macchina, a volte su una tavola di legno, e si faceva tanti chilometri per incontrare gente come me, uno dei tanti volontari cialtroni in servizio civile. E quando mi si sedeva di fronte sorridente, dopo una breve preghiera, non mi faceva una predica nè una lezione. Mi faceva delle domande, voleva sapere di me: non si era fatto tutta quella strada per farsi ascoltare, ma per ascoltarmi. E dopo avermi ascoltato mi diceva grazie, grazie perchè sei un dono importante.

Di don Oreste ho conosciuto soprattutto la sua Comunità, prima in una casa famiglia a Predappio, poi durante la formazione al servizio civile, tra Rimini e Marzabotto e, infine, a Nairobi. Ho incontrato tante persone, con alcune sono andato molto d'accordo, con altri meno, qualcuno mi ha insegnato delle lezioni importanti, soprattutto la gioia misteriosa della condivisione.

Di don Oreste ho imparato a cercare il Cristo, senza stancarsi, nei volti di chi ha bisogno di aiuto, di chi soffre, di chi non ha voce per urlare se non la mia. E Cristo l'ho pure incontrato, nel piccolo Brian che voleva un papà; in Maria che mi ha preso per mano e mi ha accompagnato fino alla porta di filo spinato della baraccopoli; in Tabitha, che non aveva un lavoro, ma dieci figli - i più non suoi ma orfani dell'aids; nella cappella buia di Baba Yetu a pregare dopo una giornata nella polvere.

Ma fu solo molto tempo dopo che capii che anch'io potevo rispecchiare Cristo solo nel momento in cui avessi riconosciuto di aver bisogno, molto bisogno degli altri, di tutti.

Ciao don Oreste, oggi non si piange, ma si festeggia insieme a te nella gloria dei Cieli.

Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia.
Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì. Le mie mani saranno fredde, il mio occhio non potrà più vedere, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa terra mi apro all'infinito di Dio.
Noi lo vedremo, come ci dice Paolo, faccia a faccia, così come Egli è (1Cor 13,12). E si attuerà quella parola che la Sapienza dice al capitolo 3: Dio ha creato l'uomo immortale, per l'immortalità, secondo la sua natura l'ha creato.
Dentro di noi, quindi, c'è già l'immortalità, per cui la morte non è altro che lo sbocciare per sempre della mia identità, del mio essere con Dio. La morte è il momento dell'abbraccio col Padre, atteso intensamente nel cuore di ogni uomo, nel cuore di ogni creatura.

giovedì 1 novembre 2007

Cortina, Sudtirolo

Cortina vuole passare al Sudtirolo. La cosa non sorprende e "l'irridentismo al contrario" mi sta assai simpatico, soprattutto perchè puzza di nostalgie austroungariche e qui alla Sissi e Cecco Beppe si è sempre voluto bene. Che poi ci siano dietro questioni di soldi non fa che confermare qualche oggettiva verità sociologica riguardo ai ladini.

Quello che stupisce è che la SVP abbia detto di sì senza tanti problemi.

Ora però bisogna capire alcune cose importanti. I cortinesi quanti sono? come si dichiareranno al prossimo censimento etnico-linguistico? e, soprattutto, per chi votano? sta a vedere che alle prossime provinciali facciamo addirittura una terna (o sarà il Kaiser a fare bingo?)...