Sono tornato da Nairobi con la pelle che profumava di sudore e di argilla e con un groviglio di emozioni che mi ballonzolavano in gola e non ne volevano sapere di lasciarsi deglutire. Allora ho cominciato a tirarle fuori raccontando tutte le mie avventure di giovane in servizio civile e i volti, le storie, i pensieri, che avevo vissuto in quei nove mesi africani. Undici anni fa così nasceva un blog, che mi accompagna ancora con il titolo Il miele dalla roccia.
Il blog ha cambiato più volte nome, veste grafica e contenuti. I lettori sono rimasti gli stessi, cioè pochi. Ha seguito le mie migrazioni, le mie esperienze di lavoro e lo studio, la mia vita di fede. Ma il mio diario digitale è rimasto una forma di autoterapia, un promemoria delle riflessioni che mi fanno sembrare intelligente, un quaderno per i giochi di parole. Condivido quello che scrivo con chi capita per un pizzico di vanità e spudoratezza, controllo – lo confesso – il contatore delle visite spesso, ma scrivo innanzitutto per me e non per il prossimo.
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Il blog ha cambiato più volte nome, veste grafica e contenuti. I lettori sono rimasti gli stessi, cioè pochi. Ha seguito le mie migrazioni, le mie esperienze di lavoro e lo studio, la mia vita di fede. Ma il mio diario digitale è rimasto una forma di autoterapia, un promemoria delle riflessioni che mi fanno sembrare intelligente, un quaderno per i giochi di parole. Condivido quello che scrivo con chi capita per un pizzico di vanità e spudoratezza, controllo – lo confesso – il contatore delle visite spesso, ma scrivo innanzitutto per me e non per il prossimo.
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