giovedì 9 febbraio 2012

Gli apoftegmi della neve

Se sulle aride rocce del deserto di Scete fosse mai nevicato, ora potremmo sicuramente leggere tra i detti dei padri un episodio simile a quello capitato a noi frati studenti nel cuore di Bologna.

Nevicava a palate, la mattina del martedì. Noi fraticelli, al termine della messa comunitaria, dirigendoci in refettorio per la colazione, ci fermiamo davanti alle finestre per ammirare lo spettacolo, già pregustando una giornata di studio al calduccio della cella in compagnia di una tazza di orzata bollente, quando si avvicinano il padre priore e il padre economo...
Fra Matteo, il nostro economo, alto e secco come un chiodo, taciturno, dallo sguardo austero e dalla carnagione olivastra, ha proprio il physique du role del padre del deserto. Fra Fausto, il priore, invece, che è meno alto e più morbido di fra Matteo, e che ha una barba soffice e fulva, la faccia allegra e gli occhiali tondi da intellettuale trotskista, tutto incappottato e imberrettato, al massimo poteva ricordare un Cassiano in moonboots.

I nostri due abbà ci si presentano davanti muniti di pale e sacchi di sale con l'ordine inderogabile di cominciare a spalare. A nulla valgono le nostre timide obiezioni sul fatto che stesse ancora nevicando a valanga. Così, sbofonchiando e borbottando, ci andiamo a togliere l'abito e ad infilarci le scarpe pesanti e guanti da sci.

Alle 08.45 siamo tutti in cortile a spalare, facendo turni di quindici minuti a testa, visto che non ci sono badili per tutti. Liberiamo le macchine coperte di neve, anche quelle dello studentato, anche se montano gomme slick e saranno inutilizzabili per i prossimi tre mesi. Padre Sergio si ricorda della terribile nevicata dell'85, in confronto alla quale questa è un bruscolino. Padre Egidio si ricorda della nevicata del '56, in confronto alla quale quella dell'85 era una bazzecola. Padre Guido illustra a noi studentelli, che siamo un po' tutti dei mezzi intellettuali della Magna Grecia, le tecniche scout di rimozione della neve. Padre Daniele tira palle di neve. Padre Dorival, che è il nostro maestro e che viene dal Brasile, sparge il sale sopra la neve fresca, secondo il metodo in uso in Paranà. Padre Roberto lavora.

Alle 10.15 nevica ancora e padre Fausto e padre Matteo decretano la fine della nostra corvée. Allora noi corriamo in convento a metterci in fila per una bella doccia calda, non prima, però, di aver fatto un bel pupazzo di neve in onore a quella caratterisrica maschera bolognese che è il giovane punkabbestia.


Alle 12.30 ci ritroviamo insieme per l'ora media e nevica ancora. Dopo la preghiera, mentre ci dirigiamo in refettorio per il pranzo, possiamo constatare che il cortile, dove avevamo alacremente spalato, è stato ricoperto di bianco. Allora, il padre priore, come un novello abbà Serapione, prima di benedire la tavola, istruisce suoi frati studenti con questa apoftegma:
Cari fratelli, questa mattina, con sudore e fatica, abbiamo spalato la neve. Ora la neve è ricaduta su dove avevamo lavorato e questo affinché noi tutti impariamo l'umiltà di dire, quando abbiamo fatto tutto quello che ci è stato ordinato: siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare!

1 commento:

Anonimo ha detto...

GROßARTIG ;)