Nel suo recente discorso alla città, il cardinal Scola ha criticato a chiare lettere la laicità intesa come una neutralità dello stato verso il fenomeno religioso. Ecco il passaggio più significativo:
Lo Stato, sostituendosi alla società civile, scivola, anche se in maniera preterintenzionale, verso quella posizione fondativa che la laicité intendeva rigettare, un tempo occupata dal “religioso”. Sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde – almeno nei fatti – una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di apertura al trascendente. In una società plurale essa è in se stessa legittima ma solo come una tra le altre. Se però lo Stato la fa propria finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa.Il ragionamento di Scola non risulta pienamente comprensibile se non si coglie quel presupposto antropologico secondo cui uno dei fondamenti imprescindibili della persona umana è la sua apertura a ciò che la trascende, all'Altro da sè, a Dio. Una vita piena, realizzata, felice ha, cioè, come elemento necessario la coltivazione della propria dimensione religiosa. Lo stato, proprio come non è indifferente alla salute, alla cultura e all'espressione artistica dei suoi cittadini, - al punto da promuoverle attraverso iniziative di carattere sportivo, musei, mostre, corsi formativi di varia natura e non discriminando chi non ne fosse interessato -, così dovrebbe favorire anche la loro vita spirituale.
Una politica indifferente alla religiosità umana è frutto di una visione dell'umanità distorta, monca, insufficiente. Una politica così non doterà mai i propri cittadini di tutti gli strumenti necessari ad una vita buona e felice. Va da sé che questi strumenti non sono l'imposizione di una religione di stato, ma promozione attiva della libertà di religione e cioè della libertà di ricercare, in forme private o associate, quella verità che va oltre l'uomo.
Ma è proprio così? E' davvero cruciale, nella vita di un uomo, la ricerca di un senso alla propria esistenza, che vada oltre a spiegazioni di carattere meramente fisico? E questa ricerca può davvero essere articolata compiutamente in spazi comunitari? Senza di essa verrebbe davvero a mancare un pezzo di noi?
La risposta spetta a ciascuno. Ciascuno sia, però, curioso e attento ad ascoltare il racconto che gli altri danno di se stessi e se ne lasci interrogare.
4 commenti:
Buongiorno o ciao, come preferisci. Complimenti per il blog che seguo con piacere.
Ho letto con molta attenzione quanto il Card. Scola ha detto, su alcune cose concordo su altre no.
Ma rispondendo alle tue interessanti domande, credo sia davvero importante per tutti ricercare il senso della propria esistenza; soprattutto in questi tempi.
Penso sia fondamentale però, che la ricerca debba partire dal singolo, dalla sua volontà di senso della vita, dalla volontà di cambiamento e tensione al meglio.
Una volta sbocciata si può trovare o confermare negli spazi comunitari.
In questo lo Stato può secondo me fare poco! E' venuto il momento di essere noi gli attori del cambiamento.
caro Max, hai sicuramente ragione. nessuno può essere costretto a coltivare la dimensione dell'anima. qui è ogni singola persona che deve essere protagonista.
cosa può fare lo stato? dare gli strumenti ai cittadini per intraprendere questa ricerca. l'ora di religione, ad esempio, avrebbe potuto essere una importante opportunità (e l'insegnante non deve per forza essere nominato dal vescovo...) . Oppure le facoltà universitarie pubbliche di teologia (e qui il freno non è stato lo stato, ma la chiesa, ahimé).
Poi non dovrebbe impedire la dimensione comunitaria e pubblica della religione. E questo è il problema più dibattuto attualmente. Penso ai crocifissi nelle classi in italia, al velo in francia, alla turchia...
Poi c'è la questione degli edifici di culto (che in italia riguarda più gli islamici che i cristiani), le attività culturali, quando permettere e quando vietare certe pratiche religiose... etc.
insomma di carne al fuoco ce n'è molta...
ciao Luca. non sapevo che fossimo stati noi a bloccare l'eventualità di facoltà statali di teologia.
hai riferimenti più precisi, ché sono curioso?
sulla faccenda del crocifisso, io mi sono lasciato convincere da Annicchino: http://www.ingentaconnect.com/content/mnp/rhrs/2011/00000006/00000003/art00003. Ma questa è una questione marginale.
sulle facoltà di teologia c'è una norma del concordato, se non vado errato.
ma sul serio in Italia il crocifisso a scuola è obbligatorio?
dovrebbe essere una libera scelta degli studenti e dei loro genitori...
la situazione diventa problematica da 3 punti di vista:
- un segno religioso è imposto
- ogni segno religioso è proibito (non si fa il presepe, perchè ci sono dei non cristiani)
- la convivenza tra segni religiosi differenti: cosa si fa se chi li espone vuole che siano mutualmente esclusivi?
ce n'è da pensare...
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