domenica 13 gennaio 2013

Perché facciamo il male?

Hans Jonas ebbe modo di scrivere che Auschwitz, e tutto ciò che questo nome rappresenta, ha cambiato il nostro modo di concepire Dio. E' sicuramente così, ma è anche vero che ha cambiato il modo con cui l'uomo vede se stesso. La nostra capacità di fare il male ci lascia sgomenti. Non paiono esserci limiti: i record di crudeltà che la storia ci ha tramandato vengono polverizzati da atrocità sempre più sofisticate, che rivelano nuove profondità negli abissi del cuore umano.

Alla domanda non si sfugge: perché facciamo il male?

Una prima risposta potrebbe essere questa: perché siamo costretti a farlo. E' la nostra stessa natura che ci spinge a farlo, perché è debole, difettosa, malvagia. Questa risposta nega la libertà umana (di fare o non fare il male) e ci libera da ogni responsabilità rispetto alle nostre azioni cattive.



La tradizione cristiana spiega il male compiuto dall'uomo attraverso il concetto di peccato originale, una colpa compiuta dal primo uomo e le cui conseguenze negative si sono trasmesse lungo le generazioni, indebolendo le nostre facoltà e rendendole propense (ma non obbligate) al male. La dottrina del peccato originale è verità di fede, ma - almeno nella lettura che Paul Ricoeur fa di Agostino - racchiude in sé, oltre ad una dose massiccia di mistero e imperscrutabilità, un elemento di forte paradossalità. Il peccato originale, infatti, ci rende responsabili del male commesso e meritevoli di una punizione, da cui solo il battesimo ci può scampare. Al tempo stesso, però, ce ne scusa essendo un qualcosa che non abbiamo commesso personalmente, ma che abbiamo acquisito dalla nascita. Nell'idea di peccato originale confluiscono, così, categorie tra loro inconciliabili: volontà ed ereditarietà, libertà e biologia, contingenza e necessità. Ci sono tutte le apparenze di un vero e proprio mostrum teoretico!

Qualunque interpretazione si dia del racconto biblico, il peccato originale non è che una risposta parziale. Lo stesso Ricoeur nota che il male, prima di essere introdotto nel mondo dall'uomo con l'atto di cogliere il frutto proibito, è già presente, sotto le spoglie di un serpente seduttore. La tradizione cristiana vede in quel serpente l'angelo che per primo rifiutò i disegni divini. Il problema del male non è, quindi, risolto: tutt'altro! Passando dal piano umano a quello angelico, ci è riproposto, ripulito da ogni elemento di disturbo, al massimo grado del suo rigore e della sua paradossalità. L'angelo non si è sbagliato, non si è lasciato ingannare, non ha ceduto a nessuna passione. Sapeva che quel che faceva è male, eppure lo ha fatto.

Il male non è un problema, è un mistero, scriveva Maritain. E' un mistero racchiuso di una volontà che, in quanto libera, è causa a se stessa. Essa è l'originario oltre al quale non si può risalire. Quando compiamo una scelta libera, sicuramente abbiamo delle ragioni per farla. Eppure la valutazione su quale delle diverse, opposte, ragioni prese in considerazioni debba prevalere nel nostro processo decisionale rimane a completa discrezione della volontà. La decisione finale di una volontà libera è, ahimé!, imprevedibile.

Ciò nonostante, con l'aiuto di Tommaso d'Aquino, possiamo illuminare, se non le ragioni profonde, almeno la dinamica del male. Per farlo è utile partire dal bene che è definito, già da Aristotele, come ciò che tutti vogliono. Questo significa che nessun essere umano potrà mai volere il male in quanto male. Il male, infatti, non è un qualcosa di reale, che possa essere positivamente voluto, ma consiste nell'assenza di un bene, che, invece, ci dovrebbe essere. Mentre persegue il bene, può accadere, infatti, che l'uomo decida di ignorare le conseguenze negative delle sue azioni. L'ingordo ha ben chiaro davanti agli occhi il bene rappresentato da un piatto di cibi succulenti e lo desidera al punto di trascurare tutti i disagi che deriveranno dalla sua ingordigia (e che sono un male nella misura in cui corrispondo ad un'assenza di salute). Il ladro conosce bene il valore di ciò che sta per rubare e trascura deliberatamente l'ingiustizia di privare qualcuno delle sue proprietà. Il soldato di Guantanamo desidera sicuramente un bene, e cioè la sicurezza dei suoi compatrioti, che, però, ricerca torturando i suoi prigionieri e privandoli, così, di quella dignità che è sempre dovuta ad ogni uomo.

La visione di Tommaso non sminuisce di certo la gravità del male, come, per altro, capisce immediatamente ogni paracadutista che scopra di aver dimenticato il paracadute a bordo dopo essersi lanciato dall'aereo. E', però, una visione ottimista, perché crede fermamente che tutto ciò che esiste sia bene e che il male non potrà mai prevalere, perché, se, per assurdo, annientasse ogni bene, annienterebbe anche se stesso. Forse non riesce a spiegare come mai l'uomo decide di perseguire un bene a dispetto del male che ciò provocherebbe, però ci regala un pizzico di ottimismo con cui guardare al domani.

Ne abbiamo tanto bisogno.

Bibliografia:
H. Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, 1991
P. Ricoeur, Il male, 1993
Tommaso d'Aquino, De malo q. 1


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