sabato 26 aprile 2014

Christos anesti!

Sabato Santo 19 aprile 2014, il Cairo, ore 19.00.

L'autista non è ancora arrivato. Io e padre John Gabriel lo aspettiamo davanti al cancello.

Una Verna nera arrugginita si ferma davanti al cancello e ci carica. Si dirige verso meidan El-Geish, poi si infila in Sheyk Qamar, stretta e affollata come un caruggio, per sgusciare su un rotonda con in mezzo un villetta in stile coloniale che la polvere sta lentamente sgretolando dietro la cortina pudica di alberi e siepi. La strada ora si fa larga e veloce, il ponte 6 ottobre, Ramsis, fino a un palazzo imponente, moderno e già scrostato. Un gruppo di poliziotti in giubotto antiproiettile e mitra è di sentinella.


Entriamo in un grande atrio stracolmo di scout in divisa e tamburi. Il prete, alto, rasato e autoritario, si è già calcato in testa il suo bel tag bianco in testa. Sembra un vescovo. Io, dopo averlo salutato con reverenza, provo a svignarmela per nascondermi in un angolo della chiesa e poter ammirare in pace la liturgia pasquale di san Basilio. Non riesco a fare 10 metri che vengo richiamato all'ordine e messo in riga per la processione iniziale. Al rullare dei tamburi si parte.


La chiesa è un'ampia sala dal soffitto alto come quello di una cattedrale. Pendono lampade alogene. Alle pareti sono appesi poster di icone sullo stile delle immaginette devozionali del nostri anni cinquanta. In fondo, domina l'iconostasi e al centro dell'iconostasi fa bella mostra una riproduzione pop dell'ultima cena leonardesca. Ai lati dell'iconostasi due scout lasciano che la bandiera egiziana e vaticana sventolino all'aria dei ventilatori. Ben visibile, oltre l'iconostasi c'è un altare di pietra, sotto il quale, protetta da quattro schermi di vetro, riposa una bara ben chiusa.

Giunti alla sede del celebrante, io tento di scappare una seconda volta, nascondendomi dietro al coro, ma vengo immediatamente fulminato dallo sguardo di rahib Youssef che con ampi gesti mi intima di accostarmi all'altare oltre l'iconostasi. Padre John sghignazza, io gli chiedo se il rahib sa che non sono un prete e lui mi risponde che così - almeno - imparo qualcosa. E continua a sghignazzare.

La liturgia prosegue al ritmo ipnotico della musica copta e della lingua araba. Dopo i riti di introduzione, rahib Youssef mi invita a sedermi accanto a lui e, siccome alla sede del celebrante ci sono solo due sedie, spedisce John a confessare. Dopo due letture, rahib Youssef si alza per una breve omelia, in cui presenta me e John. Tutti sorridono compiaciuti. Segue la lettura del messaggio del Patriarca copto cattolico di Alessandria.


Ci ritiriamo dietro l'iconostasi. Una tenda viene tirata e l'altare viene  nascosto alla vista dei fedeli. Le luci si spengono. Una voce lontana comincia a cantare. Il rahib risponde. La voce replica e si avvicina. Il dialogo cantato si fa più forte. I colpi di tamburo sono un battito che cresce. Bang bang bang. Ormai il solista è vicino alla tenda. Si scorge un chirichetto accanto a lui con in mano una candela. Ora il tamburo è assordante, la tenda trema.

Si apre all'improvviso: Christos anesti! Cristo è risorto! La luce ritorna a illuminare la chiesa. La bara è scoperchiata. Dentro non c'è più nessuno. C'è un telo bianco e petali di rosa.

Un'icona del risorto è portata in processione lungo la chiesa. E' incensata (e anch'io devo dare il mio piccolo contributo di turiferaio). E' toccata, baciata e venerata dalla comunità credente. E' appesa, infine, ad una gran croce di legno.

La suntuosa lunghissima liturgia eucaristica di san Basilio Magno può cominciare. Il pane è arabo: tre grandi pagnotte. Il calice è incastrato in una specie di piccolo tabernacolo, con un'apertura sul tettuccio, posto al centro dell'altare. Io non ci capisco nulla, ma ad un certo punto rahib Youssef mi mette tra le mani il Santissimo Sacramento e mi ingiunge di ridurlo in frammenti. Quando ho finito con il primo, tra una preghiera e un'altra, mi mette tra le mani il secondo e poi il terzo.

Sono le dieci e mezza, quando mi mette in mano, oltre al pane, anche il vino e mi spedisce a dare la comunione. I fedeli sono già in fila. All'estremità del presbiterio, sui gradini, c'è uno sgabello sormontato da una casetta, come quelle che si appendono agli alberi per i picchi e per i canarini. Dentro la cassetta va messa la pisside con il pane. Io prendo il pane, lo intingo nel calice traboccante di vino e lo infilo in bocca ai fedeli. Mi assiste un chirichetto con un molto opportuno vassoio per raccogliere le gocce di vino che cadono (e con le quali si farà poi scarpetta).  Tutti si accostano al pane e al vino, anche i bambini, anche i neonati. Molti, con devozione, prendono il vassoio dalle mani del chirichetto e se lo mettono bene sotto il mento. Alla fine, e sono ormai le undici, il vino è quasi finito. Tutti si sono comunicati.

Purifico, finisco il pane che c'era da finire. Il rahib ormai mi guarda compiaciuto e rilassato. Il Signore è risorto e la messa è finita.

Dopo la messa, facendosi largo tra la folla che ti saluta e ti augura buona pasqua (almeno credo), ci ritiriamo nello studio del rahib, dove la moglie ci presenta i due figli e un bicchiere di succo di mela. Io e John ringraziamo, svuotiamo i bicchieri, salutiamo e ci cerchiamo un taxi per andare a festeggiare la Pasqua con una birra e un narghilè.


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