Il sinodo straordinario per la famiglia è stato un periodo di grazia per lo studentato domenicano bolognese, dove ci si è esercitati a riflettere insieme e a discutere (quasi) pacificamente. A qualche mese di distanza da quelle frizzanti settimane e in preparazione al prossimo sinodo vorrei proporre qualche mia riflessione riguardo alla questione della comunione ai divorziati risposati, con quel pizzico di presunzione tipico degli studenti che – come nel mio caso - non hanno ancora finito di leggere il loro primo libro di teologia.
Il dibattito sinodale si è sviluppato intorno all'antitesi tra “misericordia” e “legge”. “Il partito della misericordia” - la definizione è forse un po' rozza, ma rende l'idea - sostiene l'opportunità di concedere, almeno in alcuni casi, la comunione ai divorziati risposati. Il cambiamento dell'attuale disciplina andrebbe fatto in ragione della carità, la suprema legge della Chiesa, che regola tutte le altre, diritto canonico e indirizzi pastorali inclusi. “Il partito della legge” sostiene che una simile apertura sarebbe un grave allontanamento dalla dottrina della Chiesa, a cui la carità stessa ci impone di rimanere fedeli. Ponendo la questione in questi termini, si finisce inevitabilmente in un vicolo cieco. Ogni concessione alla misericordia va a discapito della legge e viceversa. Non esiste, infatti, un criterio per stabilire quale sia il giusto equilibrio tra l'una e l'altra e si corre sempre il rischio di essere o eccessivamente rigoristi o eccessivamente lassisti. Per trovare il bandolo della matassa si deve pensare l'intero problema diversamente, abbandonando sterili contrapposizioni e ripartendo dalle finalità stesse che muovono la Chiesa a ripensare la propria pastorale familiare.
Nessun commento:
Posta un commento