Il luogo comune vuole che non si arrivi mai pronti alla propria professione. Infatti, sotto tanti aspetti, il giorno della mia professione io non ero per niente pronto. Non ero pronto ad accogliere gli amici che stavano arrivando da lontano; non ero pronto a mostrare ai miei confratelli le bellezze della mia terra; non ero pronto con i “santini” e con i tempi della liturgia, un po' troppo complicati per chi vive l'emozione di un momento importante. Soprattutto non ero pronto alla caldissima accoglienza che ho ricevuto da parte di tutta la parrocchia: la chiesa piena, tanta gente che ci ha tenuto a salutarmi, qualcuno si è persino commosso. In moltissimi hanno lavorato perché tutto fosse bello: il coro, il gruppo giovani, i cuochi e le cuoche, i signori Giulini. A ciascuno va il mio più sentito ringraziamento. Al tempo stesso, però, l'appassionata partecipazione alla mia professione solenne mi ha fatto comprendere la grande responsabilità che mi sono assunto.
Promettere ubbidienza fino alla morte non è un fatto privato, che riguarda me e Dio. Non è nemmeno una questione che interessa un ristretto gruppo di frati. Si fa professione pubblicamente, perché tutta la Chiesa, in ogni singolo battezzato, è coinvolta. Il Santo Spirito, che la anima e ne suscita i carismi, ha permesso che io mi assumessi il compito di testimoniare la misericordia di Cristo nel modo proprio dei frati predicatori. E' un compito grande, superiore alle mie forze, eppure tante sono le attese nei miei confronti. Si tratta di vivere con gioia e donare speranza, di avere un orecchio e un cuore attenti e di pregare sulle parole che mi saranno confidate, di essere ricco di fede, pronto a perdonare e a farmi perdonare, di accettare la compagnia del prossimo camminando sulla via del Vangelo. Una sfida da far tremare i polsi!
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