domenica 8 febbraio 2009

Silenzio!

Questa è la foto sul mio desktop. Si capisce, quindi, come ogni invito al silenzio trovi qui un'accoglienza entusiasta, quando questo diviene il luogo della contemplazione e del discernimento. Quando ci previene dal dire sciocchezze. Ed è quando non facciamo più rumore che possiamo sentire al voce di Dio. Quando è una forma di rispetto verso il dolore dell'uomo, ecco, in quel momento il silenzio è prezioso.

E' da questo silenzio che potrà emergere un dibattito pubblico civile, in cui si è pronti all'ascolto delle ragioni dell'altro e fare qualche passo avanti verso una verità che è sempre più grande di noi. Il dibattito sulla vita, urgente e scottante, va avanti da anni ormai. Mette a dura prova i nostri nervi, ma è certamente molto meglio di quel silenzio deleterio, fatto di acquiescenza e indifferenza, che ho trovato verso le stesse questioni in Inghilterra.

Da noi la battaglia è dura, per la definizione di nuovi diritti e nuovi doveri. Come aveva ragione Focault quando diceva che i nostri codici grondano di sangue e sono la cristalizzazione delle guerre civili del nostro passato!

In questo scontro mi trovo, al solito, in mezzo con le mie poche certezze. Non saprei dire se l'alimentazione forzata è accanimento terapeutico o una sorta di obbligo morale che discende dal Vangelo o da una legge naturale da trasformare al più presto in civile. Non ho nemmeno il coraggio, e la spudoratezza, di definire assassino un padre che ha intrapreso un calvario per far rispettare quella che, legittimamente o meno, ritiene essere la volontà di sua figlia.

E, da cattolico, mi sarei aspettato dai miei pastori più degli inviti alla speranza - quella speranza che fu (ed è ancora) propria del popolo d'Israele e dello storpio che attese per 38 anni, ai margini di una piscina, di venir guarito - che diktat austeri e severe ingiunzioni . La faccia di bronzo di certi politici, che in un solo momento vogliono salvare la vita di un'italiana e condannare a morte centinaia di immigrati, quella sì, purtroppo, me l'aspettavo.

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