domenica 3 novembre 2013

Il buon allenatore


Il 19 settembre, i miei confratelli, riuniti in capitolo, hanno eletto fra Fausto nuovo Priore provinciale. E' un'ottima occasione per fare una breve riflessione sul ruolo del superiore nella vita religiosa.


Nelle fonti domenicane c'è un racconto che mi è rimasto particolarmente caro e mi si è inchiodato nella memoria. Non è una storia di eroica santità, come la maggior parte di quelle che ci vengono tramandate dalle prime generazioni di frati, ma di debolezza e di misericordia. Si narra, infatti, che Domenico avesse inviato i suoi frati alle celebri università di Parigi e Bologna per studiare teologia  e diritto senza il briciolo di un quattrino. All'epoca, la mendicità veniva intesa in senso strettamente letterale e proprio per questo non era per nulla facile viverla. Infatti, fra Giovanni di Spagna (come lui stesso racconterà) si rifiuta: senza soldi lui non parte. A nulla servono le preghiere e gli scongiuri di Domenico. Giovanni è irremovibile. A quel punto Domenico cede e gli lascia 12 denari per il lungo, faticoso, pericoloso viaggio.


Di fra Giovanni si può pensare quel che si vuole. Non è, certo, un frate "da legenda", virtuoso in tutto, sprezzante del pericolo, fautore di miracoli, pronto al martirio, ascetico nella povertà. Assomiglia, piuttosto, a noi, frati moderni e piccolo borghesi, attaccati alle nostre piccole sicurezze e poveri più di spirito che di portafoglio. Quanti di noi, ad esempio, assegnati ad un nuovo convento, partirebbero in autostop, senza un euro in tasca? Eppure Giovanni è abbastanza umile da raccontare lui stesso questo episodio, mentre avrebbe potuto passarlo sotto un discreto silenzio in modo da non perdere la faccia davanti a tutte le generazioni future di domenicani. Tanto basta a rendermelo simpatico.

L'atteggiamento di Domenico è, invece, uno straordinario modello per ogni superiore religioso. Domenico chiede a Giovanni il massimo: è al totale affidamento a Dio che ogni frate deve aspirare e la vita religiosa deve essere un aiuto per raggiungere la perfezione. Il buon superiore sprona i propri confratelli ai traguardi più ambiziosi. Quando, però, constata che Giovanni proprio non ce la fa, che l'asticella è posta troppo in alto,  Domenico adegua le sue pretese. Non lo scaccia, non lo punisce, non lo umilia: se Giovanni ora non può dare 100, darà 50. Il Signore accoglierà comunque il nostro impegno, per quanto fragile e incerto. Con il tempo e con l'aiuto dei confratelli, ciascuno di noi crescerà in virtù e santità.

Il comportamento di Domenico incarna perfettamente lo spirito della regola di Agostino, che, nello stabilire le condizioni materiali della vita comune, prevede una saggia flessibilità, affinché frugalità e mortificazioni si adattino alle reali capacità dei monaci, evitando che l'eccessiva severità scoraggi i più deboli e l'eccessivo lusso vizi i più forti:
Se alcuni vengono trattati con qualche riguardo nel vitto perché più delicati per il precedente tenore di vita, ciò non deve recare fastidio né sembrare ingiusto a quegli altri che un differente tenore ha reso più forti. Né devono crederli più fortunati perché mangiano quel che non mangiano essi; debbono anzi rallegrarsi con se stessi per essere capaci di maggiore frugalità.


Così pure, se a quanti venuti in monastero da abitudini più raffinate si concedono abiti, letti e coperte che non si danno agli altri che sono più robusti e perciò veramente più fortunati, quest'ultimi devono considerare quanto i loro compagni siano scesi di livello passando dalla loro vita mondana a questa, benché non abbiano potuto eguagliare la frugalità di coloro che sono di più forte costituzione fisica. E poi, non debbono tutti pretendere quelle cose che sono concesse in più ad alcuni non per onore ma per tolleranza, onde evitare quel disordine detestabile per cui in monastero i ricchi si mortificano quanto più possono, mentre i poveri si fanno schizzinosi.
Il punto importante è che la vita religiosa non è una gara di bravura, ma un faticoso allenamento. Il bravo allenatore non deve rispedire a casa i lentoni, ma insegnare a tutti ad andare più forte che possono.

Altrettanto deve fare il buon superiore: indicare ai confratelli una meta ambiziosa, esortarli a raggiungerla, porre delle tappe intermedie a chi fa fatica, accettando con amore, misericordia e pazienza le debolezze di ciascuno e sapendo discernere qual è il massimo che ognuno, in quel momento particolare della sua vita, può dare. Importante, infatti, non è il risultato, ma il mettersi in cammino.


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