domenica 19 gennaio 2014

Milton Friedman e la finanza etica

Milton Friedman, in un celebre articolo del 1970 per il New York Times, attaccò vigorosamente e persuasivamente il concetto di Responsabilità Sociale d'Impresa. In estrema sintesi, l'argomento di Friedman era che un manager deve agire nell'interesse degli azionisti, il quale consiste nel fare quanti più soldi possibile. Se un manager, invece di massimizzare i profitti, cerca di fare del bene con le risorse dell'azienda che dirige, sta - di fatto - depredando i proprietari dell'impresa. Se ne deduce che chi agisce secondo i principi della Responsabilità Sociale d'Impresa, non agisce eticamente.



Ovviamente, anche Friedman ritiene che il manager possa fare del bene (ma con i propri soldi, non con quelli degli altri!) e che ci siano dei limiti al perseguimento del profitto: la legge e le norme etiche fondamentali condivise dalla società.

Friedman non ha tutti i torti: le imprese nascono per generare profitti e in questo si devono impegnare. La sua analisi presenta, però, qualche aspetto problematico che vorrei sottolineare:


a) "fare del bene" e "fare profitto" non sono necessariamente in contraddizione, almeno nel lungo periodo. Questo argomento è stato proposto da due attuali guru del business con tanto di articoli, dati, aneddoti e grafici. In questo caso, la contro-obiezione di Friedman è ovvia: chi fa del bene per fare profitto agisce in virtù di una sua responsabilità non verso la società, ma verso i propri azionisti. La Responsabilità Sociale sarebbe uno slogan per nascondere le reali, egoistiche, avide motivazioni di ogni manager e azionista.

b) E' chiaro che un comportamento etico non può ridursi al rispetto della legge. Se parcheggiando danneggio una macchina, è giusto che, pur potendo evitarlo, io faccia in modo di risarcire il danno. Se trovo un portafoglio per strada, è giusto che io cerchi di restituirlo al legittimo proprietario. In casa eviterò di fare rumori non necessari che disturbino il vicino proprio all'ora della siesta.

Friedman, graziosamente, concede che il rispetto delle leggi vada distinto da quello delle "basic rules of the society in ethical custom", ma non specifica quali siano queste ultime. Uno dei compiti degli studiosi di etica è aiutare ogni cittadino (manager inclusi) ad identificarle. Non è cosa facile. E' ammissibile dal punto di vista etico finanziare un partito perché promuova una legislazione più favorevole alla mia impresa? Fare pubblicità mostrando alcuni tipi di persona e non altri? Localizzare la propria azienda in modo da non pagare tasse nel paese in cui si produce? Licenziare una persona di punto in bianco, senza nessun preavviso e senza fornire motivazioni? Delocalizzare la propria fabbrica in agosto, quando gli operai sono in ferie? Ingannare i propri stakeholder ventilando irrealistici piani di investimento?

Con tutti i suoi limiti e nella opinabilità delle soluzioni proposte, la Responsabilità Sociale tenta di individuare queste "basic rules", norme di buon vicinato tra l'impresa e l'ambiente in cui si trova.

c) Friedman pare considerare l'etica come il rispetto di leggi non scritte. E' una visione molto riduttiva. L'etica ha a che fare con la felicità dell'uomo, con i suoi fini e con i mezzi per raggiungerli. Anche il manager,  in quanto manager, e gli azionisti, in quanto azionisti, si pongono dei fini. Possiamo affermare che questi fini siano esclusivamente la massimizzazione del profitto? Io non credo.

Il manager cercherà non solo di fare tantissimi soldi, ma anche di farlo bene, cioè virtuosamente. Il manager virtuoso ha tante qualità: è onesto e sincero verso tutti; è sapiente, perché conosce approfonditamente il suo mestiere ed è in grado di trasmettere la sua arte ai suoi collaboratori; è prudente, perché sa prendere i rischi giusti senza compromettere il benessere dei suoi stakeholder, è forte, perché sopporta le situazioni di stress e aiuta i suoi collaboratori nei momenti di difficoltà; è abile, perché fa il suo mestiere con facilità, naturalezza e divertimento; è temperante, perché non perde la calma e rispetta sempre i dipendenti, anche quando sbagliano; è giusto, perché dà a ciascuno il suo, senza approfittare della propria posizione di potere. Un manager virtuoso è più che un manager di successo: è felice.

Il problema si pone in modo diverso per gli azionisti. Il presupposto minimo per agire virtuosamente è agire. Gli azionisti, una volta deciso dove depositare i propri soldi, non sono obbligati fare più nulla. Molto spesso anche questa decisione viene delegata ad una banca, a una società di investimento, a un fondo pensione. L'azionista non sa nemmeno cosa possiede, si limita a guardare l'estratto conto a fine mese. All'azionista, in quanto azionista, non si richiede molta onestà o sapienza o fortezza o temperanza. Ci si potrebbe addirittura chiedere se sia possibile pensare un'etica della virtù per l'azionista. Eppure è la figura chiave del sistema economico contemporaneo.

Il movimento della finanza etica dà una prima risposta a questo problema. Innanzitutto, si richiede al risparmiatore di informarsi sui propri investimenti. La sapienza dell'azionista consiste nel sapere come i suoi soldi vengono utilizzati. La sua giustizia, poi, consiste nel chiedere che i propri soldi vengano impiegati in forme di business eticamente ammissibili. La sua prudenza sta nel massimizzare i dividendi impiegando i propri soldi in business che promuovano il bene comune.

Gli esempi sono classici: produttori di armi, commercianti di diamanti, fabbriche altamente inquinanti sono forme di business la cui eticità è altamente discutibile.

Dopo tutto, all'azionista che vuole comportarsi in modo socialmente responsabile qualcosa è richiesto davvero:
1. informarsi sulla destinazione del proprio investimento,
2. informarsi sulle conseguenze che il proprio investimento ha sul bene comune,
3. esprimere le proprie preferenze riguardo non solo al rischio, al rendimento e alla durata, ma anche all'eticità dell'investimento agli intermediari finanziari,
4. quando è necessario, essere pronti a rinunciare ad una parte dei propri profitti, per salvaguardare il bene comune.

Ne consegue che una forma di responsabilità sociale sia richiesta anche ai consulenti finanziari degli investitori. Essa consiste soprattutto nell'informare adeguatamente i propri clienti e nel sollecitarli a prendere decisioni consapevoli.

Insomma, forse davvero non basta fare tanti soldi per comportarsi  eticamente e vivere felici.


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