martedì 22 dicembre 2015

Il Bonobo, l'Ateo e l'Aquinate

Secondo Frans De Waal, un celebre biologo, la morale "proviene dall'interno", ha cioè una sua giustificazione evolutiva. Siamo, secondo lui, biologicamente programmati per essere empatici e giusti: quando ci comportiamo bene ci sentiamo bene, quando vediamo un'ingiustizia ci arrabbiamo. Lo provano i comportamenti di animali irrazionali che ha osservato durante le sue ricerche. Celebre è l'esperimento della scimmietta che rifiuta il cibo perché alla compagna non è riservato lo stesso trattamento.


Cosa dobbiamo pensare delle teorie di Frans De Waal? Che se ha torto, ha torto solo per difetto: non solo gli uomini, i bonobi, i delfini, gli elefanti indiani, i lupi, mammiferi grandi e piccoli ed ogni essere che si muove sulla terra sono inclinati al bene. Lo è tutta natura, anche le piante e le pietre, la sabbia, la polvere sotto il letto, le onde del mare e le foglie dei boschi!

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domenica 11 ottobre 2015

Le briciole di Pollicino

Sono tornato da Nairobi con la pelle che profumava di sudore e di argilla e con un groviglio di emozioni che mi ballonzolavano in gola e non ne volevano sapere di lasciarsi deglutire. Allora ho cominciato a tirarle fuori raccontando tutte le mie avventure di giovane in servizio civile e i volti, le storie, i pensieri, che avevo vissuto in quei nove mesi africani. Undici anni fa così nasceva un blog, che mi accompagna ancora con il titolo Il miele dalla roccia.

Il blog ha cambiato più volte nome, veste grafica e contenuti. I lettori sono rimasti gli stessi, cioè pochi. Ha seguito le mie migrazioni, le mie esperienze di lavoro e lo studio, la mia vita di fede. Ma il mio diario digitale è rimasto una forma di autoterapia, un promemoria delle riflessioni che mi fanno sembrare intelligente, un quaderno per i giochi di parole. Condivido quello che scrivo con chi capita per un pizzico di vanità e spudoratezza, controllo – lo confesso – il contatore delle visite spesso, ma scrivo innanzitutto per me e non per il prossimo.

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mercoledì 2 settembre 2015

La nicchia delle luci

Racchiuso nel nobile Corano, incastonato nel cuore della sura an-Nur, la sura della Luce, brilla misterioso un versetto che recita:
Allah è la luce dei cieli e della terra. La Sua luce è come quella di una nicchia in cui si trova una lampada, la lampada è in un cristallo, il cristallo è come un astro brillante; il suo combustibile viene da un albero benedetto, un olivo né orientale né occidentale, il cui olio sembra illuminare senza neppure essere toccato dal fuoco. Luce su luce. Allah guida verso la Sua luce chi vuole Lui e propone agli uomini metafore. Allah è onnisciente.
Molti hanno tentato di carpirne il senso, ma l'esegeta più profondo è stato Abu al‑Hamid al‑Ghazali. Teologo e mistico, nasce a Tus, città di mercanti nella Persia nord-orientale, nell'anno 450 dell'Egira (1058-59 d.C.). Giovane di acuta intelligenza, studiò prima  sulle rive del mar Caspio, e poi tra i monti del Korazan, mettendosi alla scuola del celebre imam al‑Haramain. Alla morte del maestro, fu chiamato alla corte del ministro Nizam al-Mulk e nel 1091 d.C. cominciò a insegnare diritto a Baghdad, dove ottenne la sua consacrazione accademica e scrisse la sua celebre confutazione dei filosofi. Nel 1095 d.C entrò in un periodo di crisi spirituale, che lo portò a ritirarsi a Damasco e a dedicarsi alla pratica di un austero sufismo. Durante questo periodo di transizione, al‑Gazali seppe integrare alla sua cristallina razionalità e alla sua fedeltà alla legge divina, anche una profonda pratica mistica. Morì nel 1111, anno del Signore, nell'anno 505 dalla migrazione del Profeta dalla Mecca a Medina.

La luce, scrisse al‑Ghazali, in una tarda lettera a un discepolo, intitolata La Nicchia delle Luci, “è ciò che è visibile di per sé e rende visibili le altre cose, come il sole”. E' luce il fuoco che crepita nella notte; luce sono la luna e le stelle; è luce il sole dall'alba fino al suo tramonto. E' luce l'occhio, senza il quale ogni fiamma è oscura. Ancora più luce è l'anima umana, che oltrepassa i muri e attraversa le distanze in un istante, che vede l'altro e se stessa". L'anima è luce davvero perché sa cogliere l'essenza delle cose, che rimangono celate ai cinque sensi. Quando Dio le dona lo spirito di profezia, l'anima sfolgora e carpisce anche i misteri reconditi della creazione. La luce che illumina l'anima è la sapienza massima, la parola divina, il Sacro Corano. E' allora che l'intelletto conosce davvero e si avvicina a ciò che ci fa uomini. Ma “la luce vera è Dio eccelso; il termine luce dato a cosa diversa da Lui è pura metafora che non risponde affatto a realtà”. Grazie a Dio, infatti, le cose passano dall'oscurità più buia e impenetrabile del non‑essere, alla chiarezza cristallina e splendente dell'essere. Dio crea e fa essere e risplende nelle sue creature. Dio è luce abbagliante, perché non c'è nulla di ciò che esiste, che non Lo rifletta incessantemente, come tanti specchi che riverberano i raggi del sole. L'uomo conosce la luce del sole grazie al buio della notte e conosce un colore grazie agli altri colori e ogni forma nella loro varietà e differenza, ma Dio si nasconde nell'eccessiva evidenza della sua esistenza. Per conoscerLo bisogna avere occhi allenati e un animo puro. Ci sono alcuni tra noi, gli spiriti giusti e immacolati, che vedono Dio e in Lui vedono ogni cosa. Altri intelletti, coloro che sono sapienti e saldi nella scienza, in ogni cosa vedono il suo Creatore. Ma chi è iniziato ha visto che nulla esiste se non Dio.

martedì 19 maggio 2015

La prontezza

Il luogo comune vuole che non si arrivi mai pronti alla propria professione. Infatti, sotto tanti aspetti, il giorno della mia professione io non ero per niente pronto. Non ero pronto ad accogliere gli amici che stavano arrivando da lontano; non ero pronto a mostrare ai miei confratelli le bellezze della mia terra; non ero pronto con i “santini” e con i tempi della liturgia, un po' troppo complicati per chi vive l'emozione di un momento importante. Soprattutto non ero pronto alla caldissima accoglienza che ho ricevuto da parte di tutta la parrocchia: la chiesa piena, tanta gente che ci ha tenuto a salutarmi, qualcuno si è persino commosso. In moltissimi hanno lavorato perché tutto fosse bello: il coro, il gruppo giovani, i cuochi e le cuoche, i signori Giulini. A ciascuno va il mio più sentito ringraziamento. Al tempo stesso, però, l'appassionata partecipazione alla mia professione solenne mi ha fatto comprendere la grande responsabilità che mi sono assunto.

Promettere ubbidienza fino alla morte non è un fatto privato, che riguarda me e Dio. Non è nemmeno una questione che interessa un ristretto gruppo di frati. Si fa professione pubblicamente, perché tutta la Chiesa, in ogni singolo battezzato, è coinvolta. Il Santo Spirito, che la anima e ne suscita i carismi, ha permesso che io mi assumessi il compito di testimoniare la misericordia di Cristo nel modo proprio dei frati predicatori. E' un compito grande, superiore alle mie forze, eppure tante sono le attese nei miei confronti. Si tratta di vivere con gioia e donare speranza, di avere un orecchio e un cuore attenti e di pregare sulle parole che mi saranno confidate, di essere ricco di fede, pronto a perdonare e a farmi perdonare, di accettare la compagnia del prossimo camminando sulla via del Vangelo. Una sfida da far tremare i polsi!

domenica 3 maggio 2015

Perché cantiamo la Missa de Angelis?



1. Quando l'evangelista Luca racconta la preparazione dell'Ultima Cena, usa una parola fondamentale. Questa parola è: "stanza". La stanza, cioè in greco, katàluma.
Gesù mandò Pietro e Giovanni dicendo: "Andate a preparare per noi, perché possiamo mangiare la Pasqua". Gli chiesero: "Dove vuoi che prepariamo?". Ed egli rispose loro: "Appena entrati in città, vi verrà incontro un uomo che porta una brocca d'acqua; seguitelo nella casa in cui entrerà. Direte al padrone di casa: "Il Maestro ti dice: Dov'è la stanza in cui posso mangiare la Pasqua con i miei discepoli?". 
Per capire l'importanza di questa parola bisogna fare un salto indietro di 33 anni, agli inizi del vangelo, quando Gesù venne posto nella mangiatoia perché per loro non c'era posto nell'alloggio, la stanza, katàluma.
Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio.
Pensate quanta strada camminata, quanta polvere calpestata, quanti incontri, parole, miracoli, fatica per trovare finalmente la sua katàluma. Non una qualunque, ma precisamente questa qua, dove mangiare la Pasqua con i suoi discepoli. Finalmente Gesù trova il suo posto ed è quello dove condividere la Pasqua con i suoi compagni.

E' come se Gesù avesse avuto sempre come meta quella katàluma, perché lì si sarebbe svolto il fatto decisivo della sua vita. La missione di Gesù era finalizzata a questo momento, a questa cena, a questa stanza. Infatti dice: 
Ho desiderato con desiderio, cioè ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi.
Insomma, la cena che si svolge in questa stanza è il culmine della vita di Cristo.

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sabato 31 gennaio 2015

La comunione ai risposati?

Il sinodo straordinario per la famiglia è stato un periodo di grazia per lo studentato domenicano bolognese, dove ci si è esercitati a riflettere insieme e a discutere (quasi) pacificamente. A qualche mese di distanza da quelle frizzanti settimane e in preparazione al prossimo sinodo vorrei proporre qualche mia riflessione riguardo alla questione della comunione ai divorziati risposati, con quel pizzico di presunzione tipico degli studenti che – come nel mio caso - non hanno ancora finito di leggere il loro primo libro di teologia.

Il dibattito sinodale si è sviluppato intorno all'antitesi tra “misericordia” e “legge”. “Il partito della misericordia” - la definizione è forse un po' rozza, ma rende l'idea - sostiene l'opportunità di concedere, almeno in alcuni casi, la comunione ai divorziati risposati. Il cambiamento dell'attuale disciplina andrebbe fatto in ragione della carità, la suprema legge della Chiesa, che regola tutte le altre, diritto canonico e indirizzi pastorali inclusi. “Il partito della legge” sostiene che una simile apertura sarebbe un grave allontanamento dalla dottrina della Chiesa, a cui la carità stessa ci impone di rimanere fedeli. Ponendo la questione in questi termini, si finisce inevitabilmente in un vicolo cieco. Ogni concessione alla misericordia va a discapito della legge e viceversa. Non esiste, infatti, un criterio per stabilire quale sia il giusto equilibrio tra l'una e l'altra e si corre sempre il rischio di essere o eccessivamente rigoristi o eccessivamente lassisti. Per trovare il bandolo della matassa si deve pensare l'intero problema diversamente, abbandonando sterili contrapposizioni e ripartendo dalle finalità stesse che muovono la Chiesa a ripensare la propria pastorale familiare.

domenica 25 gennaio 2015

6 gennaio 2015

Ho fatto professione solenne nell'Ordine dei Predicatori martedì 6 gennaio 2015, alle ore 11.00. La data non è stata scelta a caso, ma è colma di significato. Il primo, molto personale, è che in quel giorno ricorre il compleanno di mia nonna, che – oltre ad essere effettivamente un po' befana – mi ha anche insegnato le prime preghiere. E' stato bello ricordarla così.