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giovedì 17 gennaio 2008

Nairobi, sviluppi inattesi

1. La crisi kenyota procedeva come prevedibile: le manifestazioni dell'opposizione Raila Odinga avevano fatto fiasco, il presidente Mwai Kibaki nomina un governo che comprende come suo vice Kalonzo Musyoka il terzo arrivato nella competizione elettorale e lascia alcune posizioni aperte, pronte per essere occupate da un manipolo di trasformisti. La comunità internazionale fa un po' di rumore, conta come il due di picche ma almeno non fa danni. Poi, l'altro giorno, sorpresa!

2. Bisognava eleggere il presidente del parlamento, dove il governo è in minoranza, ma contava di riuscire a comprare un numero sufficiente di parlamentari per superare quota 50%. A dispetto di ogni previsione, mie comprese, l'opposizione è disciplinata e compatta: tiene e vince per un pugno di voti. Ma vince. E' una notizia clamorosa e inaspettata. Per valutarne la vera portata bisogna aspettare ancora un po'. Intanto teniamola a mente.

3. Questo risultato ha ridato vigore alla protesta, e purtroppo anche la polizia si è fatta prendere la mano. Si alza il livello dello scontro? O si alza solo il prezzo degli onorevoli pronti a fare il salto della quaglia? Intanto il governo non si mostra preoccupato dalla prospettiva di non avere una maggioranza o, peggio, di dover subire un voto di sfiducia che riporterebbe il paese alle elezioni. Di fatto, nemmeno Odinga mi sembra molto convinto della realisticità di nuove elezioni e tiene sempre una porta aperta al "dialogo".

4. Sono ancora convinto che si arriverà ad un accordo e che quello a cui stiamo assistendo ora sia puro poker. La partita potrebbe essere ancora lunga. Odinga sembrava spacciato e invece è riuscito a rialzare la testa. E ricordiamoci ancora che ci è riuscito in parlamento e non sulla piazza.

5. Qualche link.
La solita completa ed eccellente analisi storico-politica della crisi di Prunier. La migliore che abbia trovato finora.
Un editoriale di politica più spicciola, ma utile per capire l'evolversi della situazione. Dallo Standard.
Un approfondimento sull'elezione del presidente del parlamento di Ryan Sheely. Utile per capire come funziona la politica, in Kenya, ma anche altrove. Con una serie di link da seguire.
Via Kenyan Pundit, un video sul funerale di Tom Mboya, il ministro degli esteri del primo governo del Kenya, morto assassinato.
Ushahidi significa testimoni. E' un sito aperto dalle blgostar kenyote in cui si possono segnalare scontri e violenze (e tenere sott'occhio).

mercoledì 2 gennaio 2008

Kenya: scenari politici

Guardando le immagini che vengono dal Kenya, molti si chiedono se siamo di fronte ai prodromi di una guerra etnica o, peggio, di un vero e proprio genocidio di proporzioni rwandesi. I conflitti etnici, però, non nascono dal nulla, ma sono il prodotto dell'interagire di una complessa rete di vettori, che differiscono per durata temporale, efficacia e direzione causale. Proviamo, quindi, a tratteggiare un'analisi per capire quanto sia probabile la degenerazione dei disordini kenyoti.

1. Fattori strutturali: il Kenya è un paese povero. La maggioranza dei suoi cittadini vivono in situazione di forte deprivazione economica e sanitaria. La povertà, però, attraversa orizzontalmente le differenze etniche della popolazione africana (bianchi e indiani fanno eccezione). Non esistono forme sistematiche e diffuse di discriminazione etnica o religiosa. Il portato conflittuale dei fattori strutturali è, a mio avviso, debole. Essi, però, possono essere rinforzati, e a loro volta rinforzare, fattori conflittuali generando una pericolosa spirale.

2. Acceleratori: gli elementi maggioritari della democrazia kenyota, innestati in un sistema di relazioni politiche clientelari, i livelli di violenza quotidiana e la grande disponibilità di armi sono fattori che possono contribuire a far precipitare la situazione.

a) il sistema politico: Il presidente viene eletto direttamente e contestualmente al parlamento, che ha il potere di sfiduciarlo. In caso di sfiducia, il parlamento viene sciolto e si indicono elezioni sia per la presidenza che per il parlamento. Il presidente può sciogliere il parlamento in qualunque momento. Anche in questo caso si torna alle elezioni. Il presidente ha libertà di nominare i suoi ministri e di ritirarne la nomina.
Le elezioni contestuali di presidente e parlamento generano una dinamica maggioritaria e un gioco a somma zero (si vince o si perde, non ci sono vie di mezzo), rafforzato dal fatto che il presidente può assegnare ministeri (e quindi risorse politiche ed economiche) a piacimento. Queste risorse diventano fondamentali per mantenere le proprie clientele e parte del relativo benessere dei kenyoti dipende dall'accesso del patrono a queste risorse. Questi elementi maggioritari e clientelari del sistema politico kenyota hanno sicuramente influenzato una campagna elettorale lunghissima, accentuandone i toni etno-nazionalistici (Kikuyu, la principale etnia a cui appartiene Kibaki, contro tutti gli altri).
b) il Kenya è un paese decisamente violento. Le armi, provenienti dalla Somalia, sono facilmente ottenibili. La criminalità è difficilmente contrastabile dalle forze dalla polizia, così che tragici episodi di giustizia popolare sono quotidiani. Ad essa si aggiungono scontri tribali in periferia per il controllo della terra.

3. I deceleratori: la violenza, seppure diffusa, non è organizzata. Gli scontri a cui stiamo assistendo ora sono qualitativamente (oltre che quantitativamente) differenti dal Rwanda, o dalla Bosnia, o dai progrom indiani.

a) il Kenya non ha un passato di genocidio o forte conflittualità. Gli scontri tribali in periferia sono marginali e non coinvolgono le principali etnie. La criminalità diffusa non ha mai assunto un carattere etnico.
b) Uno scontro etnico richiede anni di preparazione. E' chiaro che i politici kenyoti, pur giocano con tematiche etniche, non puntano evidentemente ad uno scontro totale: non sono imprenditori politici votati al genocidio. Dopo le elezioni non ci sono state dichiarazioni incendiarie contro una o più delle etnie, e si sono succeduti gli appelli alla calma. La stampa mantiene una posizione indipendente e non suscettibile di propaganda etnica.

4. La scintilla: domani è stata annunciata una manifestazione dell'opposizione. Il governo l'ha dichiarata illegale. Come andrà sarà cruciale per capire il proseguimento della crisi. L'elemento fondamentale è il comportamento delle forze dell'ordine, polizia ed esercito. Voci vogliono che i militari siano divisi. E' vero? Quanto profonda è la frattura? E come si comporteranno con i manifestanti? E quanti andranno alla manifestazione? Se le forze armate rimangono unite dubito che la crisi kenyota esploderà. Più probabili sono scenari di forti proteste e manifestazioni con violenze sporadiche da parte dei manifestanti. Ai livelli di violenza contribuirà, ovviamente, anche un atteggiamento più o meno tollerante da parte di polizia ed esercito. Le ultime notizie sono molto incoraggianti, con i militari che si propongono addirittura come peacemakers.

5. Le soluzioni: Si è sentito di tutto: ricontare i voti, rifare le elezioni, fare un governo di unità nazionale.

A leggere la costituzione viene spontaneo chiedersi perchè l'opposizione, che però è quasi sicuramente maggioranza in parlamento, non voti la sfiducia e faccia ripartire il processo elettorale da zero. La risposta è semplice: il presidente è in grado di cooptare un numero sufficiente di deputati dell'opposizione (in pieno stile italiano, direi). Inoltre la campagna elettorale costa e fatico ad immaginare gli eletti che rinuncino alla poltrona così facilmente. Ricontare i voti o affidarsi alla giustizia è pure un'opzione poco appetibile per l'opposizione. Se il governo è riuscito a rubare le elezioni, riuscirà pure a influenzare il ricontaggio dei voti o il verdetto della corte suprema.

Gli scenari più probabili sono, a mio avviso, i seguenti: se Odinga riesce a ottenere un alto consenso popolare visibile attraverso manifestazioni e proteste, si andrà ad un governo di unità nazionale in cui si divideranno le spoglie del potere. Le ultime dichiarazioni dei principali protagonisti sono, infatti, abbastanza concilianti.
Se non c'è una forte partecipazione popolare a dare man forte all'opposizione, Kibaki coopterà un buon numero di parlamentari e Odinga si troverà con un pugno di mosche in mano.

La comunità internazionale cosa dovrebbe fare? Questa è la domanda più facile: non giocare ai talebani della democrazia e spingere per un governo delle larghe intese, possibilmente balneare (tanto in Kenya l'estate dura tutto l'anno).

6. I link: la crisi kenyota è stata raccontata e analizzata da un sacco di blogger. Alcuni link li avevo già dati. Li ridò. Chris Blattman e Global Voices riassumono il dibattito della blogosfera segnalando gli interventi più interessanti. Io mi permetto di segnalare Kumekucha e Kenyanpundit.