mercoledì 2 gennaio 2008

Kenya: scenari politici

Guardando le immagini che vengono dal Kenya, molti si chiedono se siamo di fronte ai prodromi di una guerra etnica o, peggio, di un vero e proprio genocidio di proporzioni rwandesi. I conflitti etnici, però, non nascono dal nulla, ma sono il prodotto dell'interagire di una complessa rete di vettori, che differiscono per durata temporale, efficacia e direzione causale. Proviamo, quindi, a tratteggiare un'analisi per capire quanto sia probabile la degenerazione dei disordini kenyoti.

1. Fattori strutturali: il Kenya è un paese povero. La maggioranza dei suoi cittadini vivono in situazione di forte deprivazione economica e sanitaria. La povertà, però, attraversa orizzontalmente le differenze etniche della popolazione africana (bianchi e indiani fanno eccezione). Non esistono forme sistematiche e diffuse di discriminazione etnica o religiosa. Il portato conflittuale dei fattori strutturali è, a mio avviso, debole. Essi, però, possono essere rinforzati, e a loro volta rinforzare, fattori conflittuali generando una pericolosa spirale.

2. Acceleratori: gli elementi maggioritari della democrazia kenyota, innestati in un sistema di relazioni politiche clientelari, i livelli di violenza quotidiana e la grande disponibilità di armi sono fattori che possono contribuire a far precipitare la situazione.

a) il sistema politico: Il presidente viene eletto direttamente e contestualmente al parlamento, che ha il potere di sfiduciarlo. In caso di sfiducia, il parlamento viene sciolto e si indicono elezioni sia per la presidenza che per il parlamento. Il presidente può sciogliere il parlamento in qualunque momento. Anche in questo caso si torna alle elezioni. Il presidente ha libertà di nominare i suoi ministri e di ritirarne la nomina.
Le elezioni contestuali di presidente e parlamento generano una dinamica maggioritaria e un gioco a somma zero (si vince o si perde, non ci sono vie di mezzo), rafforzato dal fatto che il presidente può assegnare ministeri (e quindi risorse politiche ed economiche) a piacimento. Queste risorse diventano fondamentali per mantenere le proprie clientele e parte del relativo benessere dei kenyoti dipende dall'accesso del patrono a queste risorse. Questi elementi maggioritari e clientelari del sistema politico kenyota hanno sicuramente influenzato una campagna elettorale lunghissima, accentuandone i toni etno-nazionalistici (Kikuyu, la principale etnia a cui appartiene Kibaki, contro tutti gli altri).
b) il Kenya è un paese decisamente violento. Le armi, provenienti dalla Somalia, sono facilmente ottenibili. La criminalità è difficilmente contrastabile dalle forze dalla polizia, così che tragici episodi di giustizia popolare sono quotidiani. Ad essa si aggiungono scontri tribali in periferia per il controllo della terra.

3. I deceleratori: la violenza, seppure diffusa, non è organizzata. Gli scontri a cui stiamo assistendo ora sono qualitativamente (oltre che quantitativamente) differenti dal Rwanda, o dalla Bosnia, o dai progrom indiani.

a) il Kenya non ha un passato di genocidio o forte conflittualità. Gli scontri tribali in periferia sono marginali e non coinvolgono le principali etnie. La criminalità diffusa non ha mai assunto un carattere etnico.
b) Uno scontro etnico richiede anni di preparazione. E' chiaro che i politici kenyoti, pur giocano con tematiche etniche, non puntano evidentemente ad uno scontro totale: non sono imprenditori politici votati al genocidio. Dopo le elezioni non ci sono state dichiarazioni incendiarie contro una o più delle etnie, e si sono succeduti gli appelli alla calma. La stampa mantiene una posizione indipendente e non suscettibile di propaganda etnica.

4. La scintilla: domani è stata annunciata una manifestazione dell'opposizione. Il governo l'ha dichiarata illegale. Come andrà sarà cruciale per capire il proseguimento della crisi. L'elemento fondamentale è il comportamento delle forze dell'ordine, polizia ed esercito. Voci vogliono che i militari siano divisi. E' vero? Quanto profonda è la frattura? E come si comporteranno con i manifestanti? E quanti andranno alla manifestazione? Se le forze armate rimangono unite dubito che la crisi kenyota esploderà. Più probabili sono scenari di forti proteste e manifestazioni con violenze sporadiche da parte dei manifestanti. Ai livelli di violenza contribuirà, ovviamente, anche un atteggiamento più o meno tollerante da parte di polizia ed esercito. Le ultime notizie sono molto incoraggianti, con i militari che si propongono addirittura come peacemakers.

5. Le soluzioni: Si è sentito di tutto: ricontare i voti, rifare le elezioni, fare un governo di unità nazionale.

A leggere la costituzione viene spontaneo chiedersi perchè l'opposizione, che però è quasi sicuramente maggioranza in parlamento, non voti la sfiducia e faccia ripartire il processo elettorale da zero. La risposta è semplice: il presidente è in grado di cooptare un numero sufficiente di deputati dell'opposizione (in pieno stile italiano, direi). Inoltre la campagna elettorale costa e fatico ad immaginare gli eletti che rinuncino alla poltrona così facilmente. Ricontare i voti o affidarsi alla giustizia è pure un'opzione poco appetibile per l'opposizione. Se il governo è riuscito a rubare le elezioni, riuscirà pure a influenzare il ricontaggio dei voti o il verdetto della corte suprema.

Gli scenari più probabili sono, a mio avviso, i seguenti: se Odinga riesce a ottenere un alto consenso popolare visibile attraverso manifestazioni e proteste, si andrà ad un governo di unità nazionale in cui si divideranno le spoglie del potere. Le ultime dichiarazioni dei principali protagonisti sono, infatti, abbastanza concilianti.
Se non c'è una forte partecipazione popolare a dare man forte all'opposizione, Kibaki coopterà un buon numero di parlamentari e Odinga si troverà con un pugno di mosche in mano.

La comunità internazionale cosa dovrebbe fare? Questa è la domanda più facile: non giocare ai talebani della democrazia e spingere per un governo delle larghe intese, possibilmente balneare (tanto in Kenya l'estate dura tutto l'anno).

6. I link: la crisi kenyota è stata raccontata e analizzata da un sacco di blogger. Alcuni link li avevo già dati. Li ridò. Chris Blattman e Global Voices riassumono il dibattito della blogosfera segnalando gli interventi più interessanti. Io mi permetto di segnalare Kumekucha e Kenyanpundit.

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