La risposta standard è naturalmente la soddisfazione che nasce dall'aiutare il prossimo, soprattutto quello più sfortunato. L'esperienza mi ha insegnato che raramente ci sono motivazioni completamente pure e disinteressate. Scavando più a fondo nel proprio animo si possono scoprire cose che si sarebbe davvero voluto sapere. Vi è mai capitato?
Quando si aiuta il prossimo si instaura una relazione: la relazione d'aiuto. C'è una persona che aiuta e una che è aiutata, una che dà e una che riceve. E' una relazione di potere, perchè una persona ha delle risorse che l'altra non ha e di cui ha bisogno. Fate un esperimento. Mettetevi in coppie, datevi la mano, uno chiuda gli occhi e l'altro li tenga bene aperti. Poi andate a farvi una passeggiata. Una volta tornati, chiedetevi: chi ha deciso dove andare? Ci sono ottime probabilità che quello che ha deciso la strada fosse quello con gli occhi aperti. Ha deciso quello con il potere.
Già il termine italiano per definire il mio lavoro dà un'idea molto precisa dei rapporti di forza: l'educatore. In inglese si usa ora un termine molto più appropriato: support worker. Dietro questo termine c'è un'intera filosofia di lavoro. Il compito del support worker è di supportare l'utente, anzi, il cliente, nell'esercitare la propria capacità decisionale (gli inglesi direbbero, ancora una volta molto efficaciemente, to empower: trasferire del potere). Inevitabilmente esiste un grimaldello per savalguardare la posizione di predominanza. Si tratta del duty of care, la responsabilità di cura, che consiste nel limitare la capacità decisionale del proprio cliente quando essa comporti dei rischi sanitari e finanziari.
Esercitare questo potere crea, in alcuni, in me per esempio, soddisfazione. Ci si sente responsabilizzati, si tocca con mano la propria autorità e la si esercita forti della propria (superiore) esperienza, conoscienza, capacità di giudizio. Cose che non capitano (immagino) ad un commercialista. Chi lavora nel mondo dell'assistenza deve essere ben cosciente degli aspetti di potere insiti in una relazione d'aiuto e controllarli il meglio possibile. Se fate un lavoro simile al mio, chiedetevi in base a quali criteri si tende a giudicare un cliente come "buono" o "cattivo". Nel mio luogo di lavoro, ad esempio, i clienti che piacciono, che ci stanno simpatici, quelli con cui è piacevole lavorare, sono i miti: accettano con entusiasmo la propria situazione di dipendenza, non mettono in discussione i rapporti di potere, ubbidiscono senza discutere. Quelli invece che ci stanno molto sulle scatole sono i ribelli, i rimpiscatole, che si ostinano a rifiutare la propria situazione di persone bisognose d'aiuto mettendo in discussione i rapporti di potere. Discutono, litigano, dicono: a me non interessa quello che vuoi fare tu, perchè io voglio fare diversamente.
Solo se si è coscienti del fascino irresistibile del potere, si è in grado di controllarlo e magari, una volta ogni tanto, solidarizzare con i tanti Che Guevara intrappolati nell'assistenza socio-sanitaria.
6 commenti:
Un post molto acuto e al tempo stesso pieno di sensibilita'. Spesso e' proprio questa specie di "vergogna" ad ammettere di gestire potere che si trasforma in paternalismo e inefficacia. Succede in tutti gli ambienti di lavoro come a scuola e nell'universita'.
è vero anche a scuola, anche se lì i "ribelli" sono molto più numerosi, immagino e un po' di autoritarismo non guasta. l'importante è esserne coscienti.
e vogliamo parlare della cooperazione allo sviluppo?
anche tu fulminato sulla via di damasco da foucault...
brigante
eh sì, foucault si annida tra le peighe di questo post.
Fai l'educatore?
Fermati, pazzo! Vattene finche sei in tempo!
Per me è troppo tardi ormai, la trasformazione è ormai irreversibile... ma tu probabilmente sei ancora giovane, puoi farcela...
si' si', sono in partenza a breve.
luca
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