1. Democrazia e mercato si basano su un fondamento comune: un principio che chiamo qui di responsabilità personale secondo il quale ognuno è la persona più adatta a giudicare quale sia il proprio benessere e come ottenerlo. Questo è l'esatto contrario del paternalismo. Infatti, nessuno meglio di noi stessi sa quale partito ci saprà rappresentare in parlamento o quale prodotto vogliamo comprare al supermercato.
2. L'estensione della responsabilità personale è potenzialmente universale. Ci sono però delle eccezioni. Si tratta dei disabili politici. A questa categoria appartengono tutte quelle persone che non sono in grado di prendere decisioni di carattere politico ed economico. Disabili politici sono sicuramente tutti coloro che soffrono di disabilità mentali o gravissime disabilità fisiche e forse anche coloro che vivono in situazioni di estrema deprivazione economica. L'aspetto caratterizzante di ogni disabile politico è la propria dipendenza da altre persone per la propria sopravvivenza. Non è raro che diverse forme di dipendenza (mentale, fisica, economica) si sovrappongano. In altri termini, i disabili politici sono coloro che non sono in grado di emanciparsi dal principio paternalistico.
3. La figura del disabile politico non è pensabile al di fuori di mercato e democrazia. Al tempo stesso ne rappresenta una contraddizione. Nel contesto di una società liberaldemocratica, l'assistenza ai disabili politici entra, per così dire, nel pallone. Attraverso stato e mercato ogni tipo di servizio (pubblico o privato) viene fornito a fronte di una capacità di far valore i propri interessi (politicamente o economicamente). Il disabile politico, per definizione, è proprio colui che è incapace di far valere questi interessi. La contraddizione risiede nel fatto che, mentre il servizio è ufficialmente diretto al disabile politico, esso in realtà è strutturato per venire incontro ad interessi differenti da quelli del disabile. Il disabile politico è, per così dire, un errore di sistema.
4. Un esempio. Prendiamo il caso del disabile mentale. Sarebbe possibile organizzare la sua assistenza attraverso il mercato? Con un sistema a voucher, per esempio? La risposta è no, perchè il disabile non è in grado di comprare l'assistenza. Ha bisogno di qualcuno che ne faccia le veci, che compri per lui e valuti per lui la soddisfazione dell'acquisto. Rimane da chiedersi se quello che il vicario privilegerà è la comodità sua (in termini di tempo libero, ad esempio) o quella del disabile. Lo stesso discorso è valido in un sistema di assistenza pubblica, dove a votare i policy makers sarà il vicario,con il forte sospetto che, siccome il voto è uno, non privilegi i propri interessi rispetto a quelli del disabile.
5. Se la disabilità politica è l'impossibilità di prescindere dal paternalismo anche in una società di democrazia e mercato, essa diventa un problema acuto nel momento in cui anche la più solida delle istituzioni paternalistiche, al famiglia, si assottiglia. E' sempre più difficile trovare vicari, persone che si sentano responsabili per il disabile. I disabili vivono più a lungo, sopravvivono ai genitori, che comunque non sarebbero in grado di tenerli in casa propria e li affidano a strutture extra-familiari. La risposta correntemente data a questo problema è ambigua. Da un lato, governo e associazioni, incoraggiano l'indipendenza e l'autonomia del disabile politico e questo significa anche recidere i legami di responsabilità che altri (la famiglia, la comunità) hanno verso di lui. Dall'altro, promuovono la creazione di figure alternative che facciano le i vicari dei vicari tradizionali, come l'advocate o famiglie affidatarie. L'advocate è, forse, la figura più interessante, perchè è terza rispetto al disabile e al fornitore (pubblico o privato) del servizio sociale. E' un persona che nel tempo libero si dedica a dare voce a chi non ha voce. Essa rappresenta l'essenza del vicario.
6. E' possibile uscire dal dilemma? Magari producendo un principio di responsabilità reciproca? O sono immaginabili solo soluzioni provvisorie, come quella dell'advocate?
5 commenti:
Conosci l'ultimo lavoro della Nussbaum?
http://www.amazon.co.uk/Frontiers-Justice-Disability-Nationality-Membership/dp/0674019172/ref=pd_bbs_3?ie=UTF8&s=gateway&qid=1201637857&sr=8-3
ho dato ora un'occhiata su amazon. della nussbaum avevo letto una raccolta di articoli sulla socialdemocrazia.
effettivamente la disabilità politica assomiglia al risultato opposto ad un approccio "capabilities". o ne è forse una involontaria conseguenza? non è forse il gap tra obiettivi teorici (indipendenza) e realtà (dipendenza) che creano una versione politica della disabilità?
cmq. il libro è finito in wishlist.
Ottime questioni, a cui al momento non saprei rispondere con cognizione di causa, perché il dibattito richiede un grande specialismo.
Ma sono temi di cui vorrei occuparmi seriamente, prima o poi.
non so se il dibattito richieda un grande specialismo. secondo me sono temi che dovremmo potere discutere tutti.
cmq. spero anch'io un giorno di poter approfondire.
Temo di sì, invece. Su questioni del genere si incentra tutta la riflessione metaetica degli ultimissimi tempi, il grande dibattito (per semplificare) tra utilitaristi, kantiani ed etici della virtù (aristotelici, approccio delle capacità ecc.). Insomma, il territorio è vasto. Però, certo, uno un'opinione alla buona se la può sempre fare, ci mancherebbe. Le mie del resto, sono tutte opinioni alla buona.
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