E' ormai un anno che sono rimasto "incantato" sul vangelo di Giovanni e affascinato dalla sua "ossessione" cristocentrica. Penso, anzi, di essere stato contagiato da questa ossessione e, ormai, vedo gnostici e pelagiani a
destra e a
manca.
Comunque in questi ultimi giorni sono tornato su questi versetti del capitolo 8:
Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; 32 conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". 33 Gli risposero: "Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?". 34 Gesù rispose: "In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35 Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; 36 se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero.
E' un passo molto conosciuto, soprattutto quel "la verità vi farà liberi". Ma che significa?
Un primo, ovvio, significato è che sapere come stanno davvero le cose permette di agire liberamente. In una stanza buia sono costretto a muovermi a tentoni. In una stanza illuminata, invece, mi posso muovere liberamente, senza paura di sbattere contro un armadio.
Chi commette peccato, invece, non è libero, ma "schiavo del peccato". Se la verità aumenta la nostra libertà, il peccato la riduce. Peccare è come chiudersi in una stanza e buttare dalla finestra la chiave. Queste due azioni, pur scelte liberamente, riducono significativamente la libertà, anzi coincidono con una sorta di autocarcerazione.
Non posso non notare che l'antinomia verità-peccato è piuttosto singolare. Alla verità non viene contrapposta l'ignoranza, nè al peccato la santità. Questo non è un caso. Il primo significato del passo giovanneo, a cui ho accennato sopra, va necessariamente approfondito, proprio a partire da questa antinomia.
La verità a cui si riferisce il Cristo libera, innanzitutto, dal peccato. Nel Figlio di Dio e dell'uomo, il peccato non significa più una separazione definitiva da Dio. Il Padre, infatti, attraverso suo Figlio, non permette più che ci chiudiamo fuori casa (magari dopo una notte passata in discoteca). Anche noi, con e grazie a Cristo, nonostante tutte le nostre debolezze, abbiamo la possibilità di rimanere per sempre nella casa del Padre.
In altre parole, la conoscenza, ma prima ancora l'esperienza, di questa verità, che poi non è altro che Cristo stesso, libera la nostra vita dalla paura di sbagliare, dai sensi di colpa, dalla necessità di essere e apparire sempre perfetti, dalla legge levitica e dalla sua versione moderna, la casistica morale, da ogni nostra paturnia e dal giudizio degli altri. Sappiamo, infatti, che siamo giustificati addirittura prima di peccare. Cristo ci libera dalla paura di perdere le chiavi! Possiamo, così, uscire nel mondo e sporcarci le mani, rischiare, imparare sbagliando. Possiamo anche essere sfigati e inadeguati: Dio ci ama sempre e comunque, anzi, probabilmente ancor di più. E, all'alba, scenderà ad aprirci la porta.
Rimane una domanda: come fare a conoscere la verità? Qui non si tratta di nozioni, di una verità assimilabile esclusivamente razionalmente. Questa verità non ha nulla a che fare con prove razionali dell'esistenza di Dio, nè con prove storiche della sua resurrezione nè con conoscenze razionali, che l'uomo può raggiungere con le proprie forze.
Per conoscere la verità, dice Gesù, bisogna "rimanere fedeli alla mia parola". Bisogna perseverare nella sua parola. Bisogna metterla in pratica e farne esperienza, quotidianamente e praticamente. E' una verità che si scopre facendola. E' una verità, come Gesù spiega a Nicodemo, che "si fa". E' nella fede vissuta che la parola manifesta tutta la sua forza e verità. Così, se noi dimoriamo in Cristo, come ricorda in più passi lo stesso Giovanni, Cristo dimora in noi.