giovedì 19 gennaio 2012

10 domande

Marco, un amico e giornalista dell'AltoAdige, ha deciso di farmi qualche domanda su di me, la mia vocazione e il rapporto tra le mie idee politiche e la fede. Qui si trova l'articolo. Le domande e le risposte originarie, invece, sono qua sotto.
1) La tua decisione di prendere gli ordini e diventare frate è stato l'ultimo passaggio di un percorso graduale o a un certo punto della tua vita hai scelto di voltare pagina con una decisione radicale?

In questi ultimi anni mi è capitato spesso di dover raccontare la mia vocazione e nel farlo mi sono sempre trovato un po' in imbarazzo. E' difficile condensare in poche parole tutto quel groviglio di fatti, sentimenti e riflessioni che sfociano in una vocazione religiosa. Ogni volta che lo faccio mi sembra sempre di non essere davvero fedele alla mia reale storia vocazionale e ogni volta la racconto in un modo un poco diverso.

Ad un certo punto della mia vita, avevo 28 anni e lavoravo in Inghilterra, ho preso dentro di me una decisione molto ferma e cioè di entrare nell'Ordine dei Predicatori. In quel periodo mi stavo interrogando su cosa volessi davvero fare della mia vita e l'idea della consacrazione religiosa mi ronzava intesta, anche se non sapevo davvero decidermi. Poi, leggendo un salmo – cosa che facevo sempre andando al lavoro in bus – sono incappato in questo versetto: “Nella giustizia, Signore, vogliono contemplare il tuo volto”. E' stata come una folgorazione, perché ho pensato: “Caspita! È proprio questo che voglio fare: contemplare nella giustizia il volto del Signore”. Da allora non ho avuto più incertezze.

Quel momento, però, è stato preparato da una serie di esperienze e di abitudini precedenti. Penso, ad esempio, alla lettura costante della Bibbia, che mi ha accompagnato fin da quando ero un ragazzino. Importantissimo è stato anche l'anno di servizio civile che ho trascorso in una baraccopoli di Nairobi. Lì si è rafforzato in me il desiderio di una radicalità evangelica e ho scoperto le gioie – e i dolori -  della condivisione con chi soffre materialmente e spiritualmente. Più in generale, credo che l'humus della mia vocazione sia stata la convinzione che l'etica delle beatitudini fosse la via maestra per una vita davvero felice e riuscita.

Quindi, tirando le somme, credo proprio che la mia decisione sia stata lungamente preparata e non certo una svolta improvvisa.

2) In questa decisione quanto ha contato la tua vicinanza con gli "ultimi del mondo" (passami l'espressione un po' retorica: dentro comprendo anche i problemi sociali, ecc.) e quanto invece la dimensione della fede trascende i problemi quotidiani?

Non credo sia corretto contrapporre “la vicinanza agli ultimi del mondo” e “la trascendenza della fede”. Scrivevo prima che il mio desiderio è di contemplare nella giustizia. Io penso che la contemplazione, un termine che esprime bene la dimensione trascendente della fede, e giustizia, che invece sintetizza l'idea di vincinanza con gli ultimi, siano davvero due facce di una stessa medaglia, che è la povertà. Provo a spiegarmi. La mia relazione con Dio è nata e cresciuta nel momento in cui io ho riconosciuto di mancare di qualcosa senza di Lui, o, in altre parole, quando ho riconosciuto di essere povero. La mia preghiera è, essenzialmente, il riconoscimento di questa mia povertà. L'esperienza di una risposta amorosa di Dio alla preghiera – che può avvenire in molti modi, come ad una particolare ispirazione in seguito alla lettura della Bibbia, ad un incontro concreto carico di significato, ad un cambiamento interno che mi porta a vedere il mondo con un occhio diverso, alla pace interiore oppure alla passione per altre persone, etc. - quasi costringe, in spirito di imitazione o per gratitudine, a rispondere in prima persona alle povertà del prossimo (ultimo o penultimo che sia). Si passa, così, dalla dimensione trascendente a quella sociale.

Succede, però, anche l'inverso. Quando mi capita di condividere le povertà degli altri e, in una certa misura, me ne faccio carico, sento naturalmente il bisogno di rivolgermi a Dio con la preghiera. Dal sociale, quindi, passo al trascendente. D'altronde Cristo stesso ha espresso questa unità tra la dimensione sociale e quella della trascendenza della fede, quando ha detto che chi si fa prossimo ai piccoli del mondo, si fa prossimo a Lui.

Per rimanere nel concreto, quando vivevo a Nairobi, non è che trascurassi la preghiera, perché ero molto impegnato nel mio lavoro. Anzi! Diciamo pure che non ho mai più avuto una vita spiritualmente così intensa. La solidarietà con il prossimo fa bene alla preghiera, perché le dà contenuti e sostanza. La preghierà fa bene alla solidarietà, perché la incoraggia e la sostiene.

3) Tra le tue esperienze all'estero ce ne è anche una in una baraccopoli di Nairobi. Ci racconti quell'esperienza? Dove vivevi, cosa facevi? Cosa ti è rimasto?

Sono partito per Nairobi subito dopo la laurea, come “casco bianco”, cioè volontario in servizio civile internazionale, per la Comunità Papa Giovanni XXIII. Ho vissuto nove mesi in una piccola baraccopoli non molto lontana dalla ben più grande e famosa Korogocho. Le prime settimane le ho trascorse nella casa principale della missione della Comunità. Si trattava di alcune baracche (una come sala comune e cucina, due per dormire, più le latrine) con un piccolo cortile interno, collocate in mezzo alla baraccopoli. Successivamente sono andato a dormire lungo il torrente, poco fuori dal compound, in una struttura, sempre di baracche di lamiera, che ospitava ragazzi di strada.

Avevo diversi compiti. Il mio preferito era andare ad intervistare le famiglie che era sostenute dal programma di adozione a distanza. Era una bella occasione per capire come vivessero quelle persone, per comprendere meglio la loro cultura e conoscere la loro storia. Sbrigavo, poi, un di burocrazia e lavoro d'ufficio per la missione, scrivevo degli articoli in cui raccontavo la mia esperienza e che venivano poi pubblicati sul sito dei caschi bianchi “www.antennedipace.org”, collaboravo con un gruppo di giovani della baraccopoli che aiutava e giocava con i bambini, davo una mano agli educatori dei ragazzi di strada e, soprattutto, parlavo con la gente.

E' difficile dire cosa mi sia rimasto. Per molto tempo ho avuto una gran nostalgia (il famoso mal d'Africa?). Ora conservo soprattutto la speranza e il coraggio delle persone che ho incontrato, delle donne, soprattutto. Molte di loro sono diventate delle mie eroine, ad esempio Tabitha, che da sola e senza lavoro – come la gran parte delle donne di Nairobi – accudiva dieci bambini, la metà suoi, l'altra metà di parenti morti di AIDS. Mi è rimasto anche la gioia, l'entusiamo e la voglia di vivere incontenibili dei bambini, incuranti dei veri drammi che si svolgevano loro intorno. Da allora ho cominciato a relativizzare molto i miei problemi quotidiani.

4) Con un po' di ironia si può dire che visto dall'esterno sembri un perfetto esempio di cattocomunista (ndr: ricordo male o da qualche parte hai una spilla con Gatto Silvestro e la scritta "Gattocomunista sempre"?), magari più catto che comunista... Come riesci a fare convivere la fede con la formazione politica di sinistra? Ti senti in minoranza nella Chiesa di oggi, o tra i sacerdoti il panorama delle convizioni politiche e personali è più variegato di quello che ci immaginiamo? Discutete di politica nel convento?

Quella spilla me l'ha regalata un mio confratello che a mio riguardo la pensava proprio come te. La porto con molto orgoglio e con un pizzico di auto-ironia, che non guasta mai. Detto questo, in convento si parla con molta cautela di politica, per non rischiare di offendere qualcuno, visto che la politica è quel genere di argomento che genera sempre discussioni molto accese. I frati, infatti, si distribuiscono politicamente come il resto degli italiani, e proprio come loro si appassionano, fanno il tifo o, caso molto più frequente, si lamentano dei loro rappresentanti.

Quello che accumuna i frati non è certo un'ideologia politica, ma la fede in Gesù Cristo. In relazione alla fede tutte le altre differenze passano in secondo piano. E' per questo che non mi sento in minoranza nella Chiesa, perché l'appartenenza politica non è un criterio sensato per dividersi e raggruparsi in fazioni. La sfida è, invece, riconoscere il proprio confratello come autenticamente prossimo, al di là delle proprie simpatie politiche, ma anche e soprattutto caratteriali.

Per quanto mi riguarda, il mio modo di vivere la fede e le mie idee politiche si fondano su un comune sottostrato di valori fondamentali. Mi riferisco principalmente alla solidarietà o all'uguaglianza tra gli uomini. E non c'è certo bisogno di Marx per credere in questi valori: già san Paolo, ad esempio, scriveva che non c'è più né Giudeo né Greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, perché siamo tutti un essere solo in Cristo Gesù. Insomma, il fatto che io abbia avuto una formazione e una militanza politica a sinistra non è un'anomalia rispetto alla mia fede, ma rientrano anch'esse in un percorso personale che io percepisco come tutto sommato coerente.

5) Sempre con lo sguardo da esterno si penserebbe che un frate come te non sia particolarmente vicino alla dottrina di Benedetto XVI, considerato un Papa "di destra". E' così, o il suo papato ti sta convincendo?

Non spetta a me dare un giudizio sul papato di Benedetto XVI. Il papa si confronta con problemi di scala mondiale. Io, francamente, non ho quella visione d'insieme che servirebbe per fornire una valutazione che sia meno che superficiale.

Ho, però, il sospetto che la fama di Benedetto XVI sia dovuta più al suo precedente lavoro come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che a fatti oggettivi. La sua ultima enciclica, il suo impegno ecologico, il recente incontro di preghiera per la pace che ha avuto luogo
ad Assisi e le chierichette che a volte servono le sue celebrazioni, solo per citare alcuni esempi, come si conciliano con l'etichetta “di destra” che gli è stata affibbiata? Destra e sinistra mi paiono categorie che stiano un po' strette non solo, ma anche al Papa.

Io ho apprezzato Ratzinger soprattutto per quello che ha scritto come Papa: le sue encicliche, l'esortazione apostolica Verbum Domini, i suoi discorsi ufficiali. Il suo impegno nel rendere ragione della nostra fede e nel chiedere la ragione di quella degli altri, la capacità di suscitare la riflessione su cosa significhi essere cristiani e la fiducia che nutre nei confronti della ragione umana e che lo porta a dialogare insieme a credenti e non con intelligenza, profondità e rigore non possono non piacere ad un frate domenicano. Infine trovo salutare la sua discrezione nelle apparizioni pubbliche, che è un modo di dire che il vero protagonista nella Chiesa è Cristo e non il Papa.

6) Segui ancora gli sviluppi della politica italiana? Cosa pensi del tuo (ex?) partito, cioè il Pd? Riesce - come voleva alla sua nascita - a conciliare le tradizioni culturali e politiche sia di sinistra che dei cattolici?

Da quando sono entrato nell'Ordine ho messo da parte la politica di partito. Non credo sia una buona idea per un religioso evidenziare le proprie simpatie per una o per l'altra parte politica. La priorità di un frate è annunciare Cristo e tutte le cose che si frappongano a questa missione, tra cui vi sono sicuramente anche pregiudizi e antipatie di tipo partitico, vanno accantonate.

Questo, naturalmente, non significa che abbia smesso di leggere il giornale di sentirmi meno partecipe di quanto succede in Italia e nel mondo.

Il problema di conciliare tradizioni culturali e politiche differenti, quella cattolica e quelle laiche, mi pare sia comune a molti partiti e non esclusivamente del Pd. Come hai detto tu stesso, il Pd si pone programmaticamente questa conciliano. I valori, quando sono autentici e, quindi, ordinati al bene, non sono certo in contraddizione reciproca. Si tratta di trovare soluzioni legislative per salvaguardare i valori cari alla cultura laica e quelli cari ai cattolici. Non è una missione facile, ma nemmeno impossibile. Semmai il problema del Pd è di ambire ad una base elettorale che superi il 30%. La coperta, però, è corta e, tirando da una parte e dall'altra, rischia di lacerarsi.
Le tue ultime tre domande partono dall'idea che ci sia una inconciliabilità di fondo tra sinistra e cattolicesimo. Non è così per una ragione semplicissima. Al concetto di sinistra si oppone quello di destra e a quello di cattolico si oppone quello di laico (nel senso di non cattolico). Criticità con il magistero della Chiesa possono nascere nel momento in cui la Chiesa riconosce in determinate proposte politiche, sia di destra che di sinistra, un rischio per la dignità della persona umana.

7) Al di là ovviamente della famiglia, a Bolzano hai mantenuto amicizie e rapporti sociali?


Ci mancherebbe altro!

8) Come pensi il tuo futuro? Topo di biblioteca, insegnante, missionario...?


Il mio futuro “professionale” è nelle mani dei miei superiori. Posso dire di aver molta voglia di stare con la gente e poca voglia di insegnare. A me piacerebbe andare a Istanbul, dove i frati predicatori hanno una comunità che si dedica al dialogo interreligioso ed ecumenico, ma qualsiasi incarico mi venisse affidato, per breve o lungo tempo che sia, la cosa importante è poter continuare a vivere la preghiera e la vita comune nello stile domenicano.

9) Nel corso del tuo pre-noviziato a Bergamo (?) insieme ad altri frati hai dato vita a un blog. esiste ancora? cosa raccontate (o raccontavate)? come è nata l'idea e che accoglienza ha avuto?


Quando abbiamo dato vita a vitaefratrum non eravamo ancora frati, ma semplici ospiti in convento per un periodo (quasi un anno) di ricerca vocazionale. L'idea originaria era, da un lato, di fare esperienza di predicazione in un modo non tradizionale, dall'altro di raccontare dall'interno la vita di un convento. Abbiamo preso spunto da altri blog simili, in particolare da quello dei frati studenti inglesi e ci abbiamo dato un tocco tutto nostro.

Il nostro esperimento a suscitato diverse reazioni, alcune positive, alcune negative, però in molti ci hanno scritto, specialmente giovani in ricerca vocazionale come noi, e questo, ovviamente, ci ha fatto molto piacere. I contenuti del sito sono tutt'ora accessibili, anche se noi abbiamo smesso di aggiornarlo con l'inizio del noviziato. Il noviziato, infatti, che è un periodo prolungato di ritiro, mal si conciliava con le distrazioni della rete.

Al momento non abbiamo intenzione di aprire un progetto simile per lo studentato. La nostra priorità, infatti, è ambientarsi nel convento di Bologna e di studiare filosofia e teologia. Intanto, però, ho ripreso a scrivere della vita religiosa sul mio blog personale.

10) Un po' di biografia.

Sono un frate studente domenicano. Ho fatto professione semplice a settembre. Tra tre anni, se Dio vorrà, farò professione solenne, che mi impegnerà nell'Ordine per tutta la vita.
Sono nato a Bolzano, mi sono diplomato al Carducci e poi ho studiato Scienze politiche internazionali all'università di Bologna. Dopo la laurea sono partito come volontario in servizio civile per Nairobi, dove sono rimasto nove mesi. Tornato a Bolzano ho lavorato al Binario 7 (il drop-in in via Garibaldi) per quasi un anno. Successivamente sono andato a studiare a Londra, dove ho anche lavorato come educatore in una struttura per disabili. In quel periodo ho preso coscienza della mia vocazione, mi sono ritirato a Taizé per qualche mese “a pensarci bene” e poi sono tornato in Italia per intraprendere il mio cammino vocazionale.

1 commento:

Flip ha detto...

Una benedizione del Cielo... mi ritengo fortunato di poterlo conoscere!