Durante un incontro vocazionale presso i domenicani di Bologna ho posto apertamente il problema di quanto bisognasse accogliere l'insegnamento della Chiesa non ex cathedra e quanto ascoltare la propria coscienza e intelligenza soprattutto per quanto riguarda il discernimento della verità. E', infatti, mio convincimento che non sia possibile accogliere qualsiasi verità se non per intimo convincimento, a pena di far torto sia alla verità sia alla propria coscienza. Ne è seguito un breve dibattito con un duplice ammonimento al ribellismo e al conformismo. Mi pare di essere esente da entrambi i rischi. Rimane, piuttosto, la tensione presente in ogni sacerdote tra le proprie convinzioni personali e l'insegnamento ufficiale della Chiesa. La mediazione non è facile.
Contemporaneamente, sui giornali, scoppiava la polemica sulle parole del Cardinal Poletto a proposito dell'obiezione di coscienza e del primato della legge di Dio su quella dell'uomo. Un vivace scambio di opinioni ha avuto luogo sul mio blog. Francesco Costa ha ospitato una discussione molto interessante sullo stesso tema. L'ultimo intervento è di Luca Sofri. Il nocciolo è, però, lo stesso. L'intervento di Poletto viene giudicato eversivo e una eclatante violazione della laicità dello stato. Io mi ostino a non capire come ci possa essere una legge morale superiore alla propria coscienza (e per i cristiani essa è fondata in Dio - e non è proprio questo il succo della laicità?). E non capisco nemmeno come l'obiezione di coscienza possa venire confusa con il brigatismo o il fondamentalismo religioso. Forse vale la pena ricordare che l'obiezione di coscienza è il rifiuto di fare ciò che una legge considerata ingiusta lo costringerebbe a fare, esponendosi poi apertamente a tutte le conseguenze che la sua condotta illegale comporta. Essa è una pratica intrinsecamente non violenta e passiva. Altro che amnistie per assassini politici e lapidatori!
Mi sono, allora, andato a rileggere la lettera di don Milani ai giudici. Riporto qui qualche stralcio, giusto per sentirmi meno solo.
Non posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate.
La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero. Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola e con l'esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l'ora non c'è scuola più grande che pagare di persona un'obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede.
Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri. Non capisco come qualcuno possa confonderlo con l'anarchico. Preghiamo Dio che ci mandi molti giovani capaci di tanto. Questa tecnica di amore costruttivo per la legge l'ho imparata insieme ai ragazzi mentre leggevamo il Critone, l'Apologia di Socrate, la vita del Signore nei quattro Vangeli, l'autobiografia di Gandhi, le lettere del pilota di Hiroshima. Vite di uomini che son venuti tragicamente in contrasto con l'ordinamento vigente al loro tempo non per scardinarlo, ma per renderlo migliore.
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L'ho applicata, nel mio piccolo, anche a tutta la mia vita di cristiano nei confronti delle leggi e delle autorità della Chiesa. Severamente ortodosso e disciplinato e nello stesso tempo appassionatamente attento al presente e al futuro. Nessuno può accusarmi di eresia o di indisciplina. Nessuno d'aver fatto carriera. Ho 42 anni e sono parroco di 42 anime!
Del resto ho già tirato su degli ammirevoli figlioli. Ottimi cittadini e ottimi cristiani. Nessuno di loro è venuto su anarchico. Nessuno è venuto su conformista. Informatevi su di loro. Essi testimoniano a mio favore.
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A Norimberga e a Gerusalemme son stati condannati uomini che avevano obbedito. L'umanità intera consente che essi non dovevano obbedire, perché c'è una legge che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta nei loro codici, ma che è scritta nel loro cuore. Una gran parte dell'umanità la chiama legge di Dio, l'altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli che non credono né nell'una né nell'altra non sono che un'infima minoranza malata. Sono i cultori dell'obbedienza cieca.
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A dar retta ai teorici dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell'assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore. C'è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto.
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La dottrina del primato della legge di Dio sulla legge degli uomini è condivisa, anzi glorificata, da tutta la Chiesa. Non andrò a cercare teologi moderni e difficili per dimostrarlo. Si può domandarlo a un bambino che si prepara alla Prima Comunione: "Se il padre o la madre comanda una cosa cattiva bisogna obbedirlo? I martiri disobbedirono alle leggi dello Stato. Fecero bene o male?".
C'è chi cita a sproposito il detto di S. Pietro: "Obbedite ai vostri superiori anche se son cattivi". Infatti. Non ha nessuna importanza se chi comanda è personalmente buono o cattivo. Delle sue azioni risponderà lui davanti a Dio. Ha però importanza se ci comanda cose buone o cattive perché delle nostre azioni risponderemo noi davanti a Dio.