1. Secondo la volontà di Alfred Nobel, avrebbero dovuto essere premiati colore che
hanno fatto il lavoro maggiore o migliore per la fraternità tra le nazioni, l'abolizione o la riduzione degli eserciti permanenti e la promozione e organizzazione di congressi per la pace.Scorrendo la lista dei premiati pare che questa volontà sia stata spesso tradita. Il premio ad Al Gore rappresenta, forse, il punto massimo di questo allontanamento dai propositi iniziali. Sono stati premiati ambientalisti, come Gore e la Maathai; operatori economici come Yunus, l'ILO e Madre Teresa; diversi attivisti per i diritti umani (Shirin Ebadi, Rigoberta Menchù, Aung San Suu Kyi, il Dalai Lama, Eli Wiesel, Lech Walesa fino ad Amnesty International).
Se le cause sposate da tutti questi premi nobel sono più che meritorie, il legame con la promozione della pace sfugge. Anzi! la promozione dei diritti umani è sempre un fattore di conflitto, altro che pace. Tra le motivazioni che portarono il comitato a non premiare Ghandi c'era appunto la coscienza che la sua campagna per l'indipendenza dell'India, seppure non-violenta, ha avuto anche conseguenze tragiche. Altrettante perplessità andrebbero sollevate riguardo a chi lotta contro le povertà. Alcuni studi, per esempio, hanno messo in evidenza le conseguenze in termini di violenza privata dei programmi di microcredito.
Insomma un premio dato a caso? Tanto valeva darlo a Grande Puffo?
2. Forse no. Il comitato di Oslo ha, verosimilmente, fatto propria un'idea estensiva di pace. Agli inizi degli anni sessanta, proprio ad Oslo, Johan Galtung sviluppava il concetto di pace positiva, una pace cioè non come una semplice assenza di conflitto armato, ma come assenza di violenza in ogni sua forma, fisica e strutturale.
La violenza strutturale è la chiave per comprendere la logica nascosta dietro l'assegnazione del premio. Galtung si chiede infatti: se è violenza uccidere direttamente qualcuno, non lo è altrettanto privare qualcuno dei suoi mezzi di sussistenza o non agire per impedire che qualcuno muoia? Ecco perchè la lotta alla povertà e la conservazione dell'ambiente vengono intese come campagne contro forme strutturali di violenza e, quindi, per la promozione della pace positiva.
3. Un secondo supporto teorico a favore dei premi nobel ad ambientalisti è la teoria delle "guerre verdi", sviluppata da Homer-Dixon. Secondo Homer-Dixon, molti conflitti sono causati dalla lotta per accaparrarsi risorse scarse, o divenute tali in seguito all'inaridimento della terra. Il problema di questa ipotesi è che ignora il ruolo dell'uomo nello gestire situazioni di scarsità alimentare o nel generarle. Un altro premio nobel, per l'economia stavolta, Amartya Sen deve molto della sua fama proprio per aver dimostrato come la carestie siano generate dall'uomo, attraverso la manipolazione di strumenti economici e politici, più che da una natura maligna.
4. Le teorie di Galtung e Homer-Dixon sono discutibili sotto diversi aspetti, nulla impedisce, però, al comitato che assegna il premio nobel di farle proprie. E' un peccato, invece, che non si sia mai deciso di rendere questa presa di posizione esplicita attraverso uno o più premi a chi ha contribuito attraverso i propri studi ad ampliare il concetto di pace che il comitato (e molti di noi) hanno. I nobel per la pace sono infatti stati assegnati esclusivamente a "uomini del fare", attivisti, politici, gente in prima linea. Sono stati sempre trascurati teorici, alcuni fondamentali, della pace. Oltre al già nominato Galtung, possiamo citare Hans Lederach, che ha sviluppato il concetto di trasformazione dei conflitti, o i teorici delle war economies, tipo Keen e/o Hirschleifer. La prossima volta perchè non lo diamo a uno di loro?
8 commenti:
concordo col tuo post. credo che le polemiche non mancheranno, me lo auguro. invece apprezzo quello alla lessing, anche se speravo in altri. viste anche le "nostre" dolomiti che vengono giù?
baci bello
"Insomma un premio dato a caso? Tanto valeva darlo a Grande Puffo?"
Grazie, ma sarebbe troppo anche per me.
Tuo,
il Grande Puffo (Meslier).
x mary: visto visto... purtroppo non sono molto aggiornato sulla letteratura (come invece tutte le mie più care lettrici).
x meslier: ;))))
C'è anche l'idea che la questione ambientale sia collegata a quella della pace, in quanto pone il problema della scarsità di alcune risorse (che andrebbero meglio amministrate) che sono oggi contese da popoli e fazioni in guerra. Si veda ad es. il fatto che il conflitto Israele-Palestina si configura sempre più come un conflitto per l'acqua. Ma anche le guerre per il petrolio si configurano come guerre per l'appropriazione di risorse scarse che una politica ecologica potrebbe prevenire.
è l'idea delle guerre verdi, a cui facevo riferimento al punto 3.
il punto debole di questa teoria è che la scarsità di risorse è un concetto relativo non solo alla offerta (di risorse), ma anche alla sua domanda: il petrolio è poco non perchè ce ne sia poco in senso assoluto, ma perchè sono in molti a volerlo.
ora si lotta per il petrolio, ma quando si passerà all'alcool del frumento al situazione cambierà o peggiorerà?
inoltre la guerra è solo uno dei modi per distribuire le risorse. altri sono il mercato, l'assegnazione imperativa o consensuale. perchè in alcuni casi si sceglie un metodo e in altri un altro?
infine conta molto anche la regolazione all'accesso delle risorse: chi è che lo regola, come e perchè? sen ha dimostrato che le carestie in india (come in irlanda) non avvenivano per mancanza di cibo, ma per mancanza di soldi per comprarlo. adeguate politiche di welfare rendono la relativa scarsità del cibo un problema secondario. o in darfur il problema della carestia ha, tra le sue cause, la limitazione dei trasporti (incuria delle strade). chi ne è responsabile? e perchè non ha fatto nulla?
l'esempio palestinese calza a pennello: esso non nasce per la mancanza di acqua. è piuttosto il conflitto che ingloba anche il problema della redistribuzione dell'acqua. se risolviamo questa, risolviamo il conflitto? no di certo. è vero piuttosto il contrario.
in conclusione, non credo che aumentando le risorse a disposizione si dia un contributo concreto alla risoluzione dei conflitti.
Tra Gore e IPCC e la Lessing, quello piu' dato a caso mi pare il secondo.
Il punto non e' le risorse ma le conseguenze in termini di conflitti delle migrazioni che si avrebbero nel lungo periodo. Dove c'e' migrazione di massa c'e' conflitto, a meno di avere grandi spazi.
E' successo in tempi geologici e storici. Perche' tirare in ballo teorie come quelle di Homer-Dixon e Sen, che parlano di altro?
(Ah, stasera il conflitto per eccellenza. Francia-Inghilterra)
Ah, Luca:
Qui c'e' un articolo tra i cui link c'e' un report del CNA sulle implicazioni militari e di sicurezza nazionale del cambiamento climatico.
Leggiti il report, e' scritto tra gli altri da 11 generali a riposo USA, molto interessante.
Ho letto la mail. La condivido. Ti rispondo qui perché non ho molto di originale da aggiungere. A questo punto credo che non servano le parole ma l'azione (come a suo tempo il "colpo di mano" di Jaco). E io sono come sempre indisponibile, per gli impegni sempre più serrati (per mia fortuna). A stento riesco a scrivere un post decente ogni tanto e a discutere con un amico di politica tra un commento e l'altro ;-)
Cercherò di seguire gli sviluppi.
Un abbraccio.
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