C'è chi crede che la causa della fame e dell'indigenza capillarmente diffuse in questo continente è da indicare solamente nel colonialismo occidentale. Beh, ha ragione. Il resto sono chiacchiere e razzismo.
Nel 1972 Walter Rodney, uno storico della Guyana, pubblicò un libro intitolato "Come l'Europa ha sottosviluppato l'Africa". L'obiettivo era di demolire il mito che l'Africa fosse un continente di bingobongo fino all'arrivo dell'uomo bianco. L'argomento di Rodney è sviluppato, a grandi linee, come segue: nell'Africa precoloniale esistevano culture con un notevole (anche se non a livelli occidentali) sviluppo culturale, tecnologico e politico. Esistevano, infatti, comunità politiche estese, stati ed imperi. L'arrivo degli Europei, attraverso il traffico degli schiavi, demolì queste unità politiche e azzerò lo sviluppo culturale e sociale africano.
35 anni dopo un economista americano, Nathan Nunn, dimostra la tesi di Rodney (probabilmente inconsapevolmente) a forza di regressioni. La sua ricerca ha evidenziato una robusta correlazione negativa tra il numero di schiavi esportati e l'attuale performance economica. Il bello del paper di Nunn è che si sforza di spiegare questa correlazione. La tratta degli schiavi non è stata semplicemente un furto di capitale umano. Attraverso lo scambio armi per schiavi è stato sbriciolato il monopolio della forza che detenevano gli stati africani precoloniali. Improvvisamente tutti quelli che erano disponibili a rapire e vendere uomini si trovavano a disposizione un potenziale di fuoco senza precedenti nel continente. Gli stati africani vennero polverizzati, incapaci di fornire quei beni pubblici necessari allo sviluppo economico.
Poi venne la conquista coloniale, e l'asservimento dell'economia africana alle esigenze delle potenze occidentali. Ma questa è un'altra storia, chiamata, con una certa ironia, teoria dei vantaggi comparati. Questa storia ha una morale importante anche per le politiche dello sviluppo contemporanee. Il problema del monopolio della violenza si è aggravato negli ultimi decenni.
Ora non si vendono più schiavi (?), ma diamanti e il kalashnikov costa quanto una gallina. Per organizzare una ribellione bastano un telefono satellitare ed un pugno di dollari. E, infatti, metà del continente è fatta di stati falliti, sistemi anarchici e violenza a gogò. Il rischio è alto, i rendimenti bassi, gli investimenti a breve termine.
Come sia possibile pensare di rilanciare lo sviluppo economico e sociale di un continente se non si riesce a creare prima ordine politico, per me rimane un mistero.
Nel 1972 Walter Rodney, uno storico della Guyana, pubblicò un libro intitolato "Come l'Europa ha sottosviluppato l'Africa". L'obiettivo era di demolire il mito che l'Africa fosse un continente di bingobongo fino all'arrivo dell'uomo bianco. L'argomento di Rodney è sviluppato, a grandi linee, come segue: nell'Africa precoloniale esistevano culture con un notevole (anche se non a livelli occidentali) sviluppo culturale, tecnologico e politico. Esistevano, infatti, comunità politiche estese, stati ed imperi. L'arrivo degli Europei, attraverso il traffico degli schiavi, demolì queste unità politiche e azzerò lo sviluppo culturale e sociale africano.
35 anni dopo un economista americano, Nathan Nunn, dimostra la tesi di Rodney (probabilmente inconsapevolmente) a forza di regressioni. La sua ricerca ha evidenziato una robusta correlazione negativa tra il numero di schiavi esportati e l'attuale performance economica. Il bello del paper di Nunn è che si sforza di spiegare questa correlazione. La tratta degli schiavi non è stata semplicemente un furto di capitale umano. Attraverso lo scambio armi per schiavi è stato sbriciolato il monopolio della forza che detenevano gli stati africani precoloniali. Improvvisamente tutti quelli che erano disponibili a rapire e vendere uomini si trovavano a disposizione un potenziale di fuoco senza precedenti nel continente. Gli stati africani vennero polverizzati, incapaci di fornire quei beni pubblici necessari allo sviluppo economico.
Poi venne la conquista coloniale, e l'asservimento dell'economia africana alle esigenze delle potenze occidentali. Ma questa è un'altra storia, chiamata, con una certa ironia, teoria dei vantaggi comparati. Questa storia ha una morale importante anche per le politiche dello sviluppo contemporanee. Il problema del monopolio della violenza si è aggravato negli ultimi decenni.
Ora non si vendono più schiavi (?), ma diamanti e il kalashnikov costa quanto una gallina. Per organizzare una ribellione bastano un telefono satellitare ed un pugno di dollari. E, infatti, metà del continente è fatta di stati falliti, sistemi anarchici e violenza a gogò. Il rischio è alto, i rendimenti bassi, gli investimenti a breve termine.
Come sia possibile pensare di rilanciare lo sviluppo economico e sociale di un continente se non si riesce a creare prima ordine politico, per me rimane un mistero.
11 commenti:
In questo frangente in cui si celebrano i funerali della valenza politica dei blog -Supramonte-, credo che fermarsi ad analizzare le enormi contraddizioni che la realtà internazionale ci offre, possa costituire un utile e proficuo terreno di confronto esenza restare prigionieri di offuscanti ideologie.
Ciao, buon lavoro. beppe
Concordo con l'analisi del post.
Ti chiederei + coraggio nello sviluppare l'analisi dello sviluppo dell'Africa fino alle estreme conseguenze.
Mi permetto segnalarti alcuni miei post nelle categorie terzomondo e brigantaggio.
caro beppe, lo so che sei sempre un osservatore attento di queste tematiche.
quando capita l'occasione cerco di spiegare il mio punto di vista, ma non sono molto convinto che condivideresti le mie analisi fino alle estreme conseguenze.
in questo post ho cercato di spiegare come il problema dello sviluppo sia politico, molto prima che economico. ma chi si occupa di politica oramai, e soprattutto politica africana? siamo tutti preoccupati invece di sostenere economie di sussistenza. meritorio, per carità, ma con risultati limitati.
Beh, non è proprio così Luca. I programmi di sviluppo a lungo termine tendono inevitabilmente a incidere sulla politica. Il problema non è tanto questo, secondo me, quanto piuttosto il fatto che quel poco di politica che si fa tende a mantenere la situazione attuale e quindi a favorire il centralismo. In fondo è conveniente per l'occidente. Mi viene in mente quello che sta facendo la Francia in Chad (solo per fare un esempio che so ti troverà d'accordo). Ma quello che accade in Chad accade anche in altre realtà: Uganda, Zambia, RDC Congo, Nigeria etc. etc.
Insoma, mi trovi d'accordo con questa analisi, molto precisa
ely non ho ben capito se condividi o meno :/. comunque sia paper che libro vale la pena leggerli.
nel merito, programmi di sviluppo che abbiano come focus la politica ne conosco pochi. quelli che lavorano sul traffico delle armi, di cui hai scritto qualche tempo fa, sono un esempio (anche se ho qualche dubbio sull'efficacia).
il centralismo secondo me non e' un problema, anzi piu' ce ne e' meglio e'. e quindi molto importanti sono i programmi che ad esempio aiutano a migliorare il prelievo fiscale.
ma non e' solo un problema tecnico, e' necessario pure un collante ideologico. nel mondo in via di sviluppo l'unico che pare funzionare e' l'islamismo. e qui per noi si apre un problema.
luca
Purche' per puntellare gli Stati africani non si ricorra al finanziamento di dittature e governi autoritari. Leggevo tempo fa un saggio del politologo Huntington dove si analizzavano con equanimita' i pregi e i difetti della dittatura nel garantire stabilita' alle istituzioni (ovviamente Huntington pensa che questa roba vada bene per il Ghana e l'Indonesia, non per gli USA)
Caro Luca, ti chiedo scusa se uso categorie desuete e sorpassate ma pur sempre attuali, introdotte da un Vecchio analista delle raltà economico-sociali che organizzano la vita degli stati con sovrastrutture politiche funzionali agli interessi prevalenti dei ceti dominanti. In questa accezione, non è mai la POLITICA a determinare i rapporti economici tra le varie classi che si confrontano nella società, ma semmai sono i rapporti economici che condizionano la POLITICA e ne influenzano le scelte.
Cercherò di argomentare + approfinditamente con un post nei prossimo giorni.
x sogni: c'è dittatura e dittatura, come c'è democrazia e democrazia, anche se una dittatura rapace è sempre peggio di una democrazia clientelare.
il sistema politico mi pare di vedere non possa essere calato dall'alto, ma debba venire sviluppato internamente. il contributo del sistema internazionale non può che essere quello di ristabilire delle precondizioni per permettere il consolidamento degli stati. due mi paiono le cose utili: il controllo del traffico di armi e l'abbandono delle politiche economiche che puntano alla rimpicciolimento dell'intervento pubblico (indipendentemente da quanto piccolo esso sia in partenza). anche ong che offrono servizi pubblici (scuola e sanità, housing etc) dovrebbero rivedere le loro strategie.
cmq. se non sarà possibile ristabilire il vecchio ordine, speriamo ne emerga uno nuovo il più in fretta possibile.
x beppe: quelle categorie sono tutt'altro che desuete, e pure io cerco di farne un uso appropriato. hai sicuramente ragione quando scrivi che i rapporti economici determinano quelli politici. infatti quanto studiamo il funzionamento di una democrazia africana (tipo il kenya) ci rendiamo subito conto quanto sia diverso da quello di una occidentale (tipo l'inghilterra). e i kenyoti ci sembreranno terribilmente arretrati, selvaggi o irrazionali se non si considerano le loro necessità economiche. ad esempio un limitato grado di benessere comporta un orizzonte decisionale di breve periodo, che facilmente rinforza il clientelismo.
ma penso che ci sia anche un rapporto inverso. la politica può influenzare il sistema economico. perchè, ad esempio, i tentativi di unificazione in afghanistan e somalia sono sempre falliti tranne che con l'islamismo? e come mai kenya e corea del sud, pur partendo da livelli di reddito simili si sono sviluppati in modo così differente?
sono domande che dobbiamo porci per non cadere in un meccanicismo che toglie ogni spazio alla libertà umana.
ma il paper si trova in italiano?
non credo esista una traduzion. del libro di rodney fore si' pero'.
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