Non depone certo a favore dell'università italiana il fatto che dopo 5 anni di scienze politiche non sapessi ancor definire "la politica". A chi me ne chiedeva il significato, abbozzavo risposte del tipo: "la gestione della cosa pubblica". Gestione, management, rimandavo ad un universo lessicale che era quello dell'azienda, della scienza, della tecnica, dell'esperto. Il sottotesto era l'idea che ad ogni problema della comunità politica ci fosse sempre una soluzione giusta, assolutamente vera, che solo un esperto, forte delle sue conoscenze tecniche, sarebbe stato in grado di individuare. La politica diveniva così non più il regno del politico, ma dell'economista, dello scienziato, del giurista, del sondaggista.
Mi è bastato un anno in un'università inglese a studiare altro per trovare una definizione che mi lasciasse, finalmente, soddisfatto: la politica come addomesticamento del conflitto. Il conflitto è un elemento ineluttabile di ogni comunità politica, perchè essa è caratterizzata dalla pluralità dei suoi membri e dei loro interessi (e mai mi rassegnerò veramente all'idea che l'etimologia di politica non abbia a che fare con il polis che significa molti come con quello che significa città). Anzi, un politilogo geniale come Carl Schmitt vedeva l'essenza del "politico" proprio nell'individuazione del nemico e con lo scontro, potenzialmente mortale, tra nemici. Compito della politica è proprio quello di prevenire che il "politico" prevalga in tutta la sua distruttiva potenza.
Il conflitto va addomesticato, non certo risolto, perchè risolverlo non è possibile se non attraverso il totalitarismo. Il totalitarismo non è tanto una dittatura molto cattiva, è, come diceva un mio vecchio professore, una centrifuga della società, distrugge ogni legame tra membri della comunità, crea una solitudine assoluta, e dove c'è una solitudine assoluta non può esserci conflitto, che invece si nutre di vicinanza, contatto, corpo a corpo.
Il conflitto non può essere nemmeno semplicemente gestito, perchè non esiste un manager che lo possa fare, non esiste un terzo sopra le parti che lo possa regolare così come si regola una partita di calcio. In un conflitto non esiste l'arbitro, e chi si prova a diventarlo diventa subito una parte in causa.
Il conflitto va addomesticato, ma è un'impresa dal risultato sempre incerto, poicheè l'istinto primordiale, il "politico", minaccia sempre di riemergere in tutta la sua brutalità e ferinità. E' un addomesticamento reciproco, tra i protagonisti, tra i rappresentanti degli interessi in gioco. Tutti sono allo stesso tempo addomesticatori e leoni, di se stessi (dei propri istinti, volontà e interessi) e degli altri (dei loro istinti, volontà e interessi).
Il contenuto della politica torna ad essere fatto di procedure, violenza, patti, prove di forza, concertazioni, tregue, cioè il regno del politico. Banalmente, se la politica non può essere la continuazione della guerra con altri mezzi (come piaceva a Foucault), perchè è nei mezzi la differenza, la discontinuità tra guerra e politica. E il contenuto della politica smette di essere soffocato dai contenuti delle politiche, dalla policy e dalla grande finzione che li vuole neutrali, giusti, super partes. La comunità politica non è, infatti, un'azienda con profitti da massimizzare e nemmeno un corpo da guarire, ma una grande arena di bestie selvatiche e gladiatori.